Negli scorsi giorni la Commissione europea ha chiuso con diversi governi dei ventisette Stati membri le nuove regole sul Patto di stabilità. Apparentemente sono stati allentati alcuni vincoli, ma in effetti le dilazioni accordate non sono poi molto diverse dalle precedenti regole.
Questo Patto ora è sottoposto al vaglio del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea (le due Camere legislative) affinché diventi legge entro marzo 2024 e quindi cogente nei confronti dei ventisette Stati membri.
La regola numero uno è che gli Stati con un forte indebitamento – superiore al 90 per cento del rapporto fra debito e Pil – debbono rientrare in un certo numero di anni, non lungo, ma superiore a quello dell’accordo precedente e precisamente con l’1 per cento l’anno.
L’Accordo prevede anche che il deficit annuale, sempre per chi ha un debito superiore al 90 per cento, debba essere abbassato dal 3 per cento al 1,5 l’anno.
Lo scopo di questa restrizione sia del debito pubblico che del deficit annuale è quello di recuperare risorse da destinare agli investimenti, soprattutto nelle materie seguenti: digitalizzazione, ambiente e verde, sicurezza, energia, sostenibilità sociale, infrastrutture e altre.
Non si tratta di una svolta determinante, ma di un indirizzo molto chiaro a tutti quegli Stati membri che in questi decenni hanno tranquillamente superato i vecchi vincoli, non già per destinare i nuovi indebitamenti verso gli investimenti, bensì per utilizzarli come spesa corrente (cattiva).
Perché questa scelta dissennata? Perché la spesa corrente (cattiva) accontenta la famelicità di una parte degli/delle elettori/trici, che poi compensa il Governo con il consenso, cioè il voto.
Non tutti gli Stati membri si sono comportati in questa deprecabile maniera. Quelli del Nord sono stati sempre attenti a non superare i limiti del 60 per cento del debito o del 3 per cento del deficit e, quando hanno superato questi limiti, l’hanno fatto in modo ragionevole. Lo stesso dicasi dei Paesi Baltici, fra cui Lituania, Estonia e Lettonia.
Hanno, invece, sforato i Paesi del Sud Europa.
Fra questi, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Ma il Portogallo, con un’energica azione di investimenti, ha ribaltato la sua situazione e ora non solo ha ridotto debito e deficit, ma è anche uno dei primi paesi con il Pil del 2024 più alto.
Vi è un preciso rapporto fra il miglior Pil e i minori debiti e deficit annuali, per la semplice ragione che quando si deve rimborsare il debito pregresso, non vi sono le risorse per fare gli investimenti, i quali costituiscono il motore della crescita.
Soprattutto, investimenti in infrastrutture, nelle reti ferroviarie, in quelle dell’energia e del gas, nelle reti elettriche e telefoniche, nonché in quelle immateriali; investimenti in riparazione idrogeologica e idraulica del territorio, costruzione di argini nei fiumi, gestione delle coste marittime, nell’abbattimento di immobili abusivi costruiti sui greti dei fiumi, o ancora nella produzione di energia “pulita”.
L’elenco è lungo e non vale la pena continuare.
L’attuale Governo italiano si è trovato per le mani una situazione di finanza pubblica molto difficile, con un debito superiore al 140 per cento del Pil, contro il 60 dei patti europei, e con una spesa pubblica enorme che non riesce a contenere perché è difficile tagliarla senza scatenare le proteste dei/delle beneficiari/e della stessa. Questo è un retaggio del passato, di tutti quei Governi, indistintamente tutti, che hanno avuto sempre manica larga nel distribuire risorse pubbliche a cascata senza alcuna selezione e senza alcuna valutazione di merito.
Questo Governo ha tentato di contenere la spesa corrente con la legge di bilancio 2024 (n. 213/23), però l’abitudine da parte di tutti/e i/le cittadini/e a chiedere, chiedere e chiedere lo sta mettendo in grave difficoltà.
C’è soluzione? Sì, c’è ed è quella di nominare un nuovo commissario della spending review – come fece Matteo Renzi con Carlo Cottarelli – per tagliare trenta o quaranta miliardi di spesa corrente (cattiva) e destinarla agli investimenti elencati, soprattutto alle infrastrutture.