PALERMO – Lavorare in Sicilia non è una passeggiata, anzi. E se già molti si ritengono fortunati semplicemente perché un lavoro ce l’hanno, di certo non è oro quel che luccica. I dati estrapolati dal rapporto Bes dell’Istat, Benessere equo e sostenibile, e analizzati dall’ufficio studi della Cgia, dicono che le situazioni critiche a livello nazionale riguardano proprio l’Isola, insieme alla Calabria e alla Basilicata. Il punteggio è stato ottenuto mettendo a confronto otto indicatori, di natura qualitativa.
Il 16,1% dei lavoratori dipendenti in Sicilia, il 17,6% in Puglia e il 19% in Calabria hanno dichiarato nel 2020 di aver ricevuto una retribuzione bassa rispetto a mole e qualità del lavoro prestato; percentuali più elevate tra le regioni italiane. Anche in relazione al numero di precari, vale a dire alla percentuale di occupati con lavori a termine da almeno cinque anni, le situazioni più critiche registrate nel 2023 hanno interessato in primis la Sicilia, con il 27,9%, seguita dalla Basilicata al 25,7% e la Calabria al 25,5%.
L’Isola rimane in prima fila anche in riferimento al lavoro irregolare, presente soprattutto nel Mezzogiorno, con punte del 16% in Sicilia, del 16,5% per cento in Campania e del 19,6% in Calabria. Questo insieme di condizioni porta a vivere in maniera profonda la paura di perdere il posto di lavoro, largamente diffusa soprattutto nel Mezzogiorno. Le situazioni più critiche interessano gli occupati della Calabria, che temono di uscire dal mondo del lavoro nel 5,9% dei casi, insieme al 6,4% della Sicilia e, in particolare, quelli della Basilicata, che arrivano all’8,8%. E chi ha trovato il suo spazio, spesso si è dovuto accontentare di un part time perché non ha trovato un lavoro a tempo pieno. In questo caso, le situazioni più critiche hanno interessato il Molise con il 13,8%, la Sardegna con il 14,7 per cento e la Sicilia con il 14,8%. I risultati siciliani migliorano leggermente soltanto in riferimento al tasso di mortalità e inabilità sul lavoro, indicatore per il quale la regione arriva comunque al 15esimo posto.
La Sicilia è poi al nono posto in termini di occupati sovraistruiti: ben il 27,6% accetta un lavoro al di sotto delle proprie competenze pur di avere un impiego. In generale, i siciliani che sono insoddisfatti del proprio lavoro sono il 55% sul totale, un numero che dimostra come ormai non ci sia altro scopo che portare a casa la pagnotta, e addio alla realizzazione personale. Tutto l’opposto di quello che è il “paradiso” dei lavoratori italiani, la Lombardia, dove si vive un benessere aziendale che non ha eguali nel resto del Paese. Seguono la provincia autonoma di Bolzano e il Veneto; appena fuori dal podio scorgiamo la provincia autonoma di Trento, il Piemonte e la Valle d’Aosta. Luoghi in cui addirittura le aziende si “rubano” i dipendenti, proponendo condizioni sempre migliori.
Secondo l’Inps, le dimissioni volontarie dei lavoratori dipendenti privati a tempo indeterminato con meno di 60 anni sono in aumento: nel 2022 sono cresciute, rispetto al 2019, del 29,1%. Una decisione spesso maturata dopo aver ricevuto un’offerta retributiva migliore e la messa a disposizione di un ambiente di lavoro meno “stressante” del precedente. Allo stesso tempo, le aziende del Nord stanno lavorando per “fidelizzare” i lavoratori, attraverso la corresponsione di retribuzioni più elevate, la trasformazione dei contratti a termine a tempo indeterminato, la possibilità di consentire ai dipendenti orari di lavoro più flessibili, attraverso il ricorso a strumentazioni professionali più innovativi, favorendo gli avanzamenti di carriera e, infine, con l’implementazione di benefit e di welfare aziendale.