Lungi da me l’idea di parlare di cose che conosco solo per sentito dire, come digitalizzazione e IA, non volendo cadere nella vasta tribù dei sicofanti che parlano di cose che fingono di conoscere.
Io voglio solo tentare una riflessione di natura strategica, che è il mio campo, non per sminuire il significato di questi sviluppi scientifici e tecnologici, che sono importantissimi e che potranno avere effetti e conseguenze enormi (positivi e negativi) sia sulle imprese che sulle organizzazioni e istituzioni in generale che sulla cultura generale, ma solo per sottolineare alcuni punti di carattere strategico e culturale generale che mi sembrano importanti.
Sono convinto che digitalizzazione e IA possono avere le più importanti e benefiche applicazioni nelle grandi organizzazioni pubbliche di massa, dalla organizzazione e pianificazione delle città, ai trasporti pubblici, all’anagrafe, ai grandi ospedali, alle grandi università, alla scuola in generale piuttosto che nelle imprese che sono già più avanzate.
Ed è mia antica convinzione che la cultura organizzativa deve tessere trame comuni a tutte le organizzazioni pur nel rispetto della specificità delle stesse. Ma le mie riflessioni si riferiscono soprattutto alle imprese, che sono il mio campo di osservazione principale da oltre cinquanta anni e sulle quali ho quindi qualche nozione.
Il racconto di nonna Amalia sull’età eroica delle invenzioni che ho fatto nelle scorse settimane mi è servito per illustrare l’importanza delle grandi innovazioni e l’effetto dirompente delle grandi discontinuità tecnologiche ma anche la loro continuità nel tempo.
La ferrovia, l’automobile, l’aereo, il telefono, con o senza fili, sono state enormi discontinuità tecnologiche. Ma non più importanti della scoperta da parte dell’uomo del fuoco.
Accanto ai grandi salti tecnologici vi è dunque da riflettere sulla continuità tecnologica. La storia della tecnica è antica come la storia dell’uomo. E antico come l’uomo è il senso del timore connesso con lo sviluppo della tecnica. “L’umanità ha provato di solito un misterioso timore cosmico verso le scoperte, come se in queste, unitamente ai loro benefici, fosse latente un terribile pericolo”. (Ortega Y Gasset).
La tecnica è dunque componente integrante dell’uomo, delle sue speranze, delle sue illusioni, delle sue paure. Proprio perché assegno tanta importanza alla continuità del processo teorico tecnologico (IA e digitalizzazioni comprese) preferisco riprodurre due miei scritti degli anni ’80 su questi temi.
Il primo è del gennaio 1985 su Innovazione, Impresa e Ambiente, il secondo dell’aprile 1987 su Sviluppo, Tecnologia, Risorse Umane. Non mi sembravano ingenui allora, ma neanche oggi.