Una volta mi capitò di trovarmi nel buio più fitto durante una ascensione con gli sci su una montagna sui tremila metri. Ero insieme a un amico che era istruttore nazionale di sci alpinismo e che era già salito decine di volte su quella montagna che conosceva meglio delle sue tasche. Anche io la conoscevo bene. Ma quando, quasi improvvisamente, ci trovammo avvolti in nubi basse e scure che avevano coperto l’intera cima della montagna e noi con essa, ci preoccupammo. Non avevamo nessuna visibilità oltre i cinque metri, non riconoscevamo più la nostra montagna, il ghiacciaio crepacciato ci faceva paura, il nostro senso di orientamento sembrava svanito. Decidemmo di muoverci, nonostante tutto, ma a passi molto piccoli e con grande prudenza cercando, piano piano, di abbassarci di quota con lunghe diagonali trasversali. Così, con grande attenzione, fatica e molto tempo, sbucammo, alla fine, dal buio che ci aveva avvolti. Reagendo con calma ed evitando reazioni istintive e precipitose avevamo evitato il peggio. Il ricordo di questo episodio mi aiuta ad illustrare ciò che dobbiamo fare oggi per tentare di uscire dal buio cupo che ci ha avvolto. Prima di tutto prendere atto della realtà, non ingannare noi stessi, esercitare la parrēsia. E poi, ma con grande prudenza, muoverci a piccoli passi, cogliendo le occasioni anche piccole che le vicende ci possono offrire, senza nutrire troppe illusioni; evitare decisioni precipitose; non lasciarsi sopraffare dal senso di impotenza e scoraggiamento; non farci vincere dalla paura: coltivare la parrēsia dove è ancora possibile farlo.
Vi sono settori della società nei quali è ancora possibile agire e collaborare per dare il nostro piccolo contributo per tentare di uscire dal buio cupo. Al primo posto metto il mondo dell’impresa media familiare che è uno dei mondi più seri e moralmente più sani della nostra società. Non parlo delle strutture e dei vertici politico-amministrativi del mondo imprenditoriale che sono avvolte anch’esse, come tutti, nel buio più cupo. Parlo delle migliaia di imprese dove si coltiva il buon lavoro, dove si rispetta la professionalità, dove si è imposto veramente il valore della collaborazione, dove si coltiva l’antico principio liberale che “honesty is best policy”, dove si dedica tempo e risorse alla formazione dei collaboratori, dove passo dopo passo, giorno dopo giorno, si coltiva il miglioramento continuo, dove i rapporti e la comunicazione interna sono improntati ai principi della parr?sia.
Al secondo posto metto il mondo del terzo settore dove l’incrocio tra la generosità del volontariato e i buoni metodi aziendali sta dando grandi frutti. È solo la valorizzazione e il potenziamento del terzo settore che può arginare i danni dello sfascio dello stato sociale.
Al terzo posto metto i Comuni. L’elezione diretta del sindaco conserva per i cittadini un simulacro di democrazia che può, attraverso l’intelligente partecipazione al voto, portare, come talora avviene, alla guida delle nostre città persone serie, per bene, capaci. Ma anche le strutture burocratiche dei Comuni, grazie agli aspetti positivi delle nuove tecnologie digitali, e collaborando con il terzo settore, possono dare un contributo importante a migliorare i rapporti con i cittadini.
Al quarto posto metto gli ambienti dove, strutturalmente, si può coltivare la parrēsia cioè la libertà coraggiosa di parola e di ascolto dei cittadini, la ricerca e il riscatto della verità. Lo sfascio intellettuale e morale della grande stampa è componente importante del buio cupo in cui siamo immersi. A questo sfascio possiamo contrappore quelle strutture e quei canali di comunicazione dove è ancora possibile coltivare la parr?sia. In primo luogo le università (ultimo baluardo di libertà di pensiero) e la rete della comunicazione on line che, nonostante tutto, permette ai cittadini di dialogare tra loro in spirito di verità. E infine dobbiamo stare attenti a non perdere le poche e residue occasioni utili per il nostro voto, che permettendoci di votare per gli eletti da noi scelti, può conservare qualche valore.
Nonostante tutto, quindi, non possiamo lasciarci sopraffare dai tempi cupi che ci opprimono e riconoscere che, individualmente e collettivamente, abbiamo ancora qualcosa di utile da fare, ricordando l’antico motto lombardo che dice: “Piutost che nient l’è mej piutost”.