“E voi dite: sono tempi difficili, sono tempi duri, tempi di sventure. Vivete bene e, con la vita buona, cambiate i tempi: cambiate i tempi e non avrete di che lamentarvi. (Sant’Agostino, Discorso 311 Nel Natale del Martire Cipriano, 8.8). Questo profondissimo pensiero di Sant’Agostino (che ho, a lungo, erroneamente pensato fosse di Sant’Ambrogio) mi è sempre stato molto caro. L’ho riprodotto in un quadretto che da anni è appeso, nel mio studio, bene in vista. E spesso il guardarlo è per me fattore di incoraggiamento e di guida.
Ho vissuto tempi difficili, ho vissuto tempi duri, ho vissuto tempi di sventure, come li ha certamente vissuti il vescovo di Ippona. Ma il problema è che oggi non viviamo in tempi solamente difficili, duri, di sventure ma in tempi cupi. Perché i tempi difficili, i tempi duri, i tempi di sventure lasciano aperta la prospettiva del loro superamento una volta superate le difficoltà, una volta passati i tempi più duri stringendo i denti, una volta terminate le sventure. Ma i tempi che viviamo sembrano privi di ogni ragionevole prospettiva e direzione. La sensazione è di muoverci nel buio più cupo e totale.
Pontelli, un economista che stimo, ha scritto recentemente di “tempi foschi” ed anche questa definizione può essere accettabile. Ma a me sembra più convincente quella di tempi cupi perché nella foschia, come nella nebbia fosca, si possono intravedere sprazzi di luminosità che aiutano a orientarsi nella giusta direzione, mentre a me sembra che, attualmente, ci troviamo immersi in una gabbia di cristallo sigillata nella quale una gigantesca seppia ha scaricato tutto il nero che portava in corpo. Resta la speranza che il buio fitto nel quale siamo immersi sia, almeno in parte, dovuto alla debolezza della nostra vista. Per questo la speranza cristiana contenuta nella raccomandazione di Sant’Agostino appare ancora più importante. Solo che il nostro impegno, la nostra resistenza, la nostra resilienza devono essere ancora più forti e lucide di quanto Sant’Agostino potesse immaginare.
Quando Agostino, Vescovo di Ippona, morì, il 28-VIII-430, la città era assediata dai Vandali, il flagello ch’egli invano si era sforzato di tenere lontano e che invece avrebbe travolto quella fiorente comunità cristiana, per lo sviluppo della quale egli aveva tanto lavorato. Ma quando, morto Agostino, i Vandali espugnarono ed occuparono Ippona, essi rispettarono la sua biblioteca che racchiudeva la grande eredità da lui lasciata ai posteri e la sua salma, che dopo diversi passaggi fu riscattata dai saraceni dal longobardo Liutprando e portata a Pavia dove ancora riposa. Se Agostino fosse morto oggi nella striscia di Gaza o a Kiev la sua salma e la sua biblioteca non sarebbero state rispettate e salvaguardate dai nuovi e più feroci barbari odierni. Ed è proprio questo che mi fa dire che i nostri tempi sono più cupi e barbari di quelli nei quali visse e morì il vescovo di Ippona.