Questo drammatico periodo in un’orribile staffetta tra pandemia e guerre ha fatto riflettere molti su come alcune politiche industriali, negli ultimi decenni, abbiano favorito l’aumento della dipendenza del nostro Paese dall’importazione di beni, materiali ed energia. Riflessione che ha finalmente acceso un faro concreto sui concetti di sostenibilità e resilienza. Tuttavia è ancora insufficiente l’applicazione nell’industria (dai rifiuti, all’agroalimentare, alle costruzioni) di strategie efficaci di recupero di materia ed energia dagli scarti e dai residui. Ma anche i numeri rassicuranti, con cui viene rappresentato il paese nel confronto europeo, di percentuali di raccolta differenziata ed impianti di valorizzazione del rifiuto urbano, continuano a nascondere una gravissima sperequazione tra le diverse aree geografiche del nostro paese che in parte riflette una analoga asimmetria tra Nord e Sud d’Europa.
Ciò in particolare si determina per gli impianti per il recupero energetico della frazione residuale del rifiuto urbano che proprio nelle aree più a Sud (d’Europa e d’Italia) vengono ancora osteggiati da una (piccola) parte della popolazione ma che soprattutto sono stati spesso “trascurati” nella pianificazione regionale, a volte nella più totale miopia (fisiologica o meno) degli organi di governo tecnico e politico, dando vita ad un deficit infrastrutturale – presente e futuro – di impianti di incenerimento con recupero energetico e lasciano (troppo) spazio a evitabilissimi ampliamenti di discarica e accoppiato trattamento meccanico-biologico, con ciò continuando a lasciare un enorme onere per le generazioni future come avvenuto per decenni.
Ancora più insostenibile è il trasferimento di questi rifiuti fuori regione con un enorme aggravio economico ed ambientale ma soprattutto con un’inaccettabile perdita di autonomia e resilienza. Per garantire che anche la gestione di quel rifiuto che residua dalla filiera del riciclo, sia veramente sostenibile ed economica, l’Università di Catania, in collaborazione con Enea, ha proposto un innovativo modello di Simbiosi industriale che affronta contestualmente – integrandole – le gestioni di rifiuti, acque reflue e fanghi di depurazione. Con ciò massimizzandone i vantaggi, ambientali, economici e sociali in un’integrazione eco-sistemica.
Questa soluzione richiede “solo” la capacità di intravedere un futuro possibile e ottimale e pianificarlo, anche per step successivi, nella sua interezza, con competenza e nell’interesse prevalente della comunità. Come? Localizzando moderni impianti di incenerimento con recupero energetico (chiamateli termovalorizzatori se vi va) in distretti industriali, strettamente vicino a impianti per la digestione anaerobica e possibilmente a importanti impianti di depurazione. E questo è certamente possibile per la città di Catania – e quindi per la Sicilia Orientale – dove si potrebbe realizzare una piattaforma sinergica e integrata per la completa e contemporanea chiusura dei cicli dei rifiuti, delle acque reflue e dei fanghi di depurazione attraverso la realizzazione di termovalorizzatore e impianto di digestione anerobica vicini e vicino l’impianto di depurazione. L’enorme quantità di energia elettrica e termica a basso costo che origina dalla valorizzazione energetica del rifiuto residuale determina enormi vantaggi:
È un futuro che può proiettare Catania ad essere il primo esempio di reale e integrata chiusura dei cicli e diventare un modello di riferimento per tutto il Mediterraneo e non solo. Quando le cose non vanno basta cambiare le cose, ma occorre coraggio e rinuncia alla nostra naturale inclinazione a distruggere le proposte dell’altro.
Giuseppe Mancini
Direttore del Cutgana dell’Unict e presidente dell’Associazione nazionale di Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio