Chiara Brogna, 25 anni, siciliana nata a Siracusa e da alcuni anni trasferita a Milano per studiare. Dopo la laurea per lei arriva il lavoro dei sogni, un impiego in banca a Piazza Duomo. E poi arriva la notizia che non ti aspetti. Tutto si ferma, la sua vita stravolta, capovolta.
In un giorno come un altro, racconta Chiara: “Arriva la chiamata dal centro analisi, un valore anomalo nel mio sangue. Da quel momento è cominciata una nuova fase della mia vita, un vero e proprio incubo”.
Per Chiara la diagnosi è aplasia midollare. “Il mio midollo non era più in grado di produrre cellule staminali, globuli rossi, globuli bianchi e piastrine – spiega la giovane siciliana -. L’unica soluzione per uscire da questo incubo era ricevere la donazione di midollo osseo. Ho compreso che il mio futuro, la mia salvezza, non dipendevano da una terapia o da un farmaco, ma da una persona”.
La parte più intensa e drammatica di questa storia vissuta da Chiara con gli infiniti controlli medici, prima il ricovero all’ospedale “San Raffaele” di Milano, dopo al “Gaslini” di Genova.
Qui Chiara si è scontrata con la dura realtà del reparto pediatrico, i piccoli ricoverati all’interno dei reparti, affetti da terribili malattie, storie simili alla sua si sono intrecciate. Storie che le hanno lasciato un segno indelebile. Quasi un “marchio” impresso nella pelle, anzi più in profondità, che conosce solo chi ha avuto la leucemia e la guarda in faccia ogni giorno.
“I bambini che sono lì non hanno avuto la fortuna, come me, di aver trovato un donatore compatibile, sono in attesa di quel momento che potrebbe salvargli la vita, sono in attesa che la ricerca possa destinare loro un futuro migliore di quello dentro la camera di un ospedale”.
Per Chiara, il destino ha voluto che la sua vita non si fermasse per troppo tempo dentro un ospedale.
“Dopo alcuni mesi di ricerca del mio probabile donatore, vissuti tra ansia e paura, è arrivata la notizia che tanto aspettavo. “Il medico mi informa che esiste un gemello genetico e posso ricevere la donazione di midollo. I numeri erano a mio sfavore, 1 su 100 mila. Inoltre, è molto difficile trovare un donatore compatibile al 100%. Il destino ha voluto che lo trovassi in un ragazzo tedesco di 23 anni, a cui sarò per sempre grata”.
Dalla Germania è arrivato un messaggio di speranza, in piena pandemia. Un anno fa, circa, Chiara riceve la risposta di un donatore. Mentre tutto il mondo era in lockdown, le morti e i contagi per coronavirus non si arrestavano, gli ospedali in piena emergenza, Chiara riceve il suo “regalo” e si sottopone ad una delicata operazione per ricevere il trapianto di midollo.
Chiara oggi ha sconfitto la sua malattia, una montagna insormontabile, adesso è sulla vetta e guarda con felicità l’orizzonte del suo futuro. “Dopo un anno dal mio trapianto posso dire che questo incubo è ormai finito e ho ripreso la mia vita da dove si era fermata”.
Un gesto semplice, quello di donare e che può davvero salvare la vita. “In Germania, la cultura della donazione è una abitudine. I giovani, quando diventano maggiorenni, decidono di iscriversi nel registro dei donatori. Un gesto spontaneo, come dovrebbe essere naturale anche per noi in Italia”.
Chiara dice: “Spesso diamo per scontato che c’è qualcun altro che dona. Non pensiamo che quella persona in più può fare davvero la differenza, come è stato per me. Donare è un atto, un puro gesto d’amore, perché non c’è niente di più bello che poter salvare una vita”.
Marco Panasia