Oltre due mammografi su 10 in uso in Italia hanno 10 o più anni di ‘anzianità di servizio’, con conseguente minor precisione nella capacità di individuare eventuali tumori al seno. A mostrarlo sono dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che ha effettuato una ricognizione nazionale sui mammografi in Italia, analizzando il panorama tecnologico esistente con riferimento all’anno 2019.
Dai risultati del monitoraggio condotto dall’Osservatorio di monitoraggio e valutazione delle reti oncologiche regionali, istituito presso Agenas, si rileva che il 40,5% dei mammografi presenta una vetustà di 1-5 anni, il 27% di 6-10 anni, il 22,5% uguale o superiore a 10 anni.
Il rapporto evidenzia una distribuzione territoriale disomogenea: i contesti regionali per cui si rileva un’età media dei mammografi superiore alla media nazionale (pari a 7,6 anni) sono la Basilicata, la Calabria, l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia, il Lazio, le Marche, il Molise, la P.A di Bolzano, la Puglia e la Sicilia.
Disomogenea è anche la distribuzione a livello regionale dei volumi totali delle prestazioni e dei mammografi. Per esempio, la Campania, nonostante abbia un numero di macchinari piuttosto elevato (102), esegue 1.476 prestazioni medie annue. Mentre l’Emilia-Romagna esegue in media 4.948 prestazioni con quasi lo stesso numero di mammografi (103). L’indagine nazionale, “consente di valutare gap tecnologici all’interno delle Reti oncologiche regionali, al fine di individuare il fabbisogno complessivo necessario, le tecnologie su cui sarebbe prioritario investire” anche in considerazione con quanto previsto per l’ammodernamento del parco tecnologico dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Infine, i dati mostrano una netta prevalenza di mammografi digitali rispetto a quelli analogici nelle strutture pubbliche: rispettivamente 785 digitali (pari all’81%) e 179 analogici (pari al 19%). Mentre nelle strutture private accreditate 492 sono digitali (59%) e 339 analogici (41%).