BRUXELLES – È entrata in vigore lo scorso 18 agosto la normativa Eu sul ripristino della natura, la prima legge completa e a livello continentale del suo genere.
Si tratta di un elemento chiave della strategia dell’Ue sulla biodiversità che stabilisce obiettivi vincolanti per ripristinare gli ecosistemi degradati, in particolare quelli con il potenziale maggiore di catturare e immagazzinare carbonio e per prevenire e ridurre l’impatto dei disastri naturali. Normativa più che mai necessaria anche perché la natura, in Europa, è in allarmante declino, con oltre l’80% degli habitat in cattive condizioni. Inoltre si stima che ogni singolo euro investito nel ripristino della natura aggiunge da 4 a 38 euro di benefici e che una specie di api e farfalle su tre è in via di estinzione.
Il ripristino di zone umide, fiumi, foreste, praterie, ecosistemi marini e delle specie che ospitano aiuterà ad aumentare la biodiversità e a proteggere quanto la natura fa gratuitamente, come pulire la nostra acqua e la nostra aria, impollinare le colture e proteggerci dalle inondazioni, a limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, a rafforzare la resilienza e l’autonomia strategica dell’Europa, prevenendo i disastri naturali e riducendo i rischi per la sicurezza alimentare.
Il regolamento è contestato dalle organizzazioni agricole, nonostante la stesura finale, proprio per il forte contrasto che ha causato, per quanto sia molto meno incisiva di quanto previsto inizialmente dai legislatori. La proposta originaria della Commissione europea proponeva di destinare il 10% dei terreni agricoli a interventi per la biodiversità come le coltivazioni di siepi, alberi, fossi, muretti o piccoli stagni ma questa linea guida è scomparsa del testo approvato. Le concessioni alle pressioni degli agricoltori hanno inoltre fatto allentare il requisito della Pac che prevedeva di destinare il 4% dei terreni a caratteristiche non produttive, trasformandola in volontaria. Nel Ripristino della natura è diventato volontario anche il ripristino delle zone umide per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati e ora toccherà agli Stati membri renderlo attraente da un punto di vista finanziario.
Nonostante questo, senza dubbio, si tratta di una riforma molto innovativa, perché per la prima volta non solo si prevede la protezione delle aree naturali, ma si punta a ‘ripristinare’ quelle già degradate, con una tabella di marcia in tre tappe: il 30% di ogni ecosistema dovrà essere oggetto di misure di ripristino entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050. La normativa, inoltre, allineerà l’Ue agli altri impegni internazionali di Kunming-Montreal.
Per migliorare la biodiversità negli habitat agricoli, sulla base del nuovo regolamento, i Paesi dell’Ue dovranno registrare progressi in almeno due dei tre indicatori ritenuti prioritari. Il primo è quello relativo alla numerosità delle specie e delle popolazioni di farfalle comuni con il monitoraggio delle popolazioni di farfalle comuni fornisce un indicatore della salute degli ecosistemi agricoli. Il secondo mira a realizzare una percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità includendo elementi come fasce tampone, terreni a riposo all’interno di piani di rotazione, siepi, alberi singoli o gruppi di alberi, filari arborei, margini dei campi, fossati, ruscelli, zone umide, terrazze, muretti in pietra, piccoli stagni ed elementi culturali. Questi elementi contribuiscono alla biodiversità e alla salute ecologica complessiva degli habitat agricoli.
L’ultimo, ma non meno importante, è quello del mantenimento e incremento dei livelli di sostanza organica nel suolo sono cruciali per la sua salute e fertilità a lungo termine, nonché per la capacità del suolo di sequestrare carbonio, contribuendo così alla mitigazione del cambiamento climatico.
Da ora, ed entro il 1° settembre 2026, i 27 Stati membri dovranno presentare alla Commissione Europea il piano nazionale di ripristino. Dovrà essere un piano elaborato tenendo conto di vari strumenti normativi e strategici già esistenti, tra cui il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), la strategia nazionale a lungo termine per la riduzione dei gas-serra, come previsto dal regolamento 2018/1999 sulla governance dell’Unione dell’Energia, e della direttiva 2018/2001 sulle fonti rinnovabili. I piani nazionali di ripristino dovranno delineare chiaramente le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di ripristino ambientale ma, e soprattutto, dovranno dare priorità ai siti “Natura 2000”, quella rete di aree protette istituita per garantire la conservazione degli habitat e delle specie di interesse comunitario.
Dovranno essere realizzati inizialmente come bozza, da finalizzare e pubblicare poi nell’arco di sei mesi dall’arrivo di eventuali osservazioni dell’esecutivo Ue. I piani dovranno conterranno le misure previste rispetto alle tappe fondamentali del 2030, 2040 e 2050, al fine di soddisfare gli obblighi e raggiungere gli obiettivi previsti adattandoli al contesto nazionale, compresele tempistiche e le indicazioni sulle risorse finanziarie e benefici attesi, in particolare per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici. L’Agenzia europea dell’ambiente redigerà le relazioni tecniche periodiche sui progressi verso gli obiettivi.
Gli Stati membri dovranno presentare e adottare misure di ripristino in almeno il 20% delle aree terrestri e nel 20% delle sue aree marine entro il 2030. Entro il 2050, tali misure dovrebbero essere in atto per tutti gli ecosistemi per i quali si è evidenziata la necessità di ripristino. L’obiettivo finale imposto dal regolamento è quello di ripristinare, entro il 2030, almeno 25.000 km di fiumi a flusso libero, invertire il declino delle popolazioni di insetti impollinatori e migliorarne la diversità oltre a migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli e forestali, contribuendo all’impegno di piantare almeno tre miliardi di alberi aggiuntivi entro il 2030 a livello Ue.
I piani dei singoli paesi, quindi, non saranno da intendersi statici perché, dopo la presentazione e relativa adozione, dovranno essere aggiornati periodicamente, con revisioni previste nel 2032, 2042 e 2050. Ogni aggiornamento, inoltre, dovrà dettagliare i progressi compiuti e le nuove misure adottate per garantire il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine stabiliti dalla legislazione europea. Questa struttura di pianificazione e aggiornamento periodico riflette l’impegno dell’Unione europea per un approccio dinamico e flessibile nella gestione e nel ripristino degli ecosistemi naturali, assicurando che le misure adottate siano efficaci e adattabili alle nuove sfide ambientali.