ROMA – Da un lato ci sono i fatti, che nessuno può smentire in quanto tangibili, reali, drammaticamente crudi. Poi c’è la comunicazione, che troppo spesso si trasforma in propaganda, alimentata da quei social network che, se orientati a dovere, sono in grado di accendere e muovere le masse verso una direzione piuttosto che verso un’altra.
Quella cui stiamo assistendo dalla fine di febbraio di quest’anno, quando le truppe russe di Vladimir Putin hanno varcato i confini nazionali dell’Ucraina, è una guerra come non ne avevamo mai viste prima. Un conflitto che da un lato mantiene tutte le sporche caratteristiche di cui, come genere umano, siamo stati responsabili e testimoni in passato – il sangue, le lacrime, il dolore, la distruzione e la disperazione – e dall’altro ha messo sul piatto qualcosa di mai visto soprattutto sul fronte della comunicazione. E distinguere tra realtà e finzione diventa sempre più complicato.
Da qui il nostro voler analizzare, in modo oggettivo, i fatti avvenuti finora, fino a quei referendum per l’annessione dei territori ucraini occupati alla Federazione russa che, secondo il Cremlino, avrebbero ottenuto risultati plebiscitari (sì con il 98 per cento dei voti nella regione di Luhansk, con il 98 a Donetsk, con il 93 a Zaporizhzhia e con l’87 per cento a Kherson).
Risultati su cui però anche i Paesi che fino a oggi sono stati più vicini a Putin hanno preferito non esporsi. Lo si evince dai risultati del Consiglio di sicurezza dell’Onu dello scorso 30 settembre, dedicato proprio ai referendum russi in Ucraina, in cui è stata votata una risoluzione di condanna contro le azioni di Mosca. Un documento bloccato con il veto posto dalla Russia… CONTINUA LA LETTURA. QUESTO CONTENUTO È RISERVATO AGLI ABBONATI