Leadership

Una società “divabile”

Il mio articolo dal titolo “Divabili mi piace di più” ha suscitato un interessante e, per quanto mi riguarda, gratificante dibattito, solo in parte riportato sul mio profilo. Per questo reputo opportuno tornarci sopra. In particolare, mi sembra assai interessante la considerazione svolta dalla sig.ra Angela Rendo, esperta di problemi del settore, a proposito del fatto che, spesso, purtroppo, i disabili o, come preferisco definirli convenzionalmente, i “Divabili”, non vengono considerati persone ma fenomeni.

Dice la sig.ra Rendo, e personalmente condivido in pieno, che “il non vedente, il sordomuto, il tetraplegico, ecc. non sono altro che cassonetti di spazzatura terminologica in cui tutte le cose importanti sull’individuo, in quanto persona umana, vengono gettate via.” Insomma, non vengono affatto prese in considerazione, forse dolosamente! “Ratificare i parametri di una disabilità sulla base della capacità dell’individuo in questione,” di “funzionare” come gli altri,” prosegue la sig.ra Rendo nella sua nota, “è come ostinarsi a voler giudicare l’abilità di un delfino di arrampicarsi sugli alberi in un mondo di scimmie”, o magari viceversa! L’esempio mi pare di straordinaria efficacia e mi porta a ritenere che, con molta probabilità, osservando il problema da un’altra prospettiva, sia proprio la società ad essere “Divabile” perché, sempre secondo quanto sostiene la sig.ra Rendo, “non siamo fatti tutti allo stesso modo e non siamo tutti programmati per contribuire nella stessa misura al gruppo, perché non esiste misura”. “Al contrario”, continua la signora, “esiste la fretta, l’indifferenza, la pigrizia, l’ignoranza, la paura. Tutte staccionate entro le quali la società si trova a muoversi e che costituiscono le vere barriere che creano la disabilità, sottovalutando le reali potenzialità di ciascuna persona”.

L’inversione prospettica del problema, insomma, mi porta a ritenere che parlare di disabilità o di “Divabilità” significhi, in realtà, parlare delle limitazioni causate dalla società quando è incapace di riequilibrare e, contemporaneamente, valorizzare le differenze: tutte le differenze, nel pieno rispetto dello spirito dell’articolo 3 della Costituzione italiana, che sancisce il diritto alla pari dignità sociale, senza alcuna distinzione.