I commenti che si sono susseguiti sull’esito delle elezioni spagnole del 23 luglio non hanno mancato di approfondire il vistoso calo dell’estrema destra di Vox. Il Partido Popular, vincitore delle elezioni, non avrà quindi una maggioranza che gli consentirà di formare il governo, ma nemmeno la coalizione formata dal Partito Socialista e dagli altri gruppi di sinistra e nazionalisti (catalani e baschi) riuscirà ad avere una maggioranza senza l’astensione dei separatisti catalani. Questi ultimi si sono detti disponibili, ma al prezzo di un’amnistia per tutti coloro che sono stati incarcerati o sono ricercati per il tentativo di secessione del 2017 e un nuovo referendum sull’indipendenza. Un prezzo decisamente insostenibile, anche alla luce del mandato di arresto richiesto per il loro leader.
Aldilà dell’oggettiva difficoltà di formare un governo due fatti, di cui si è parlato di meno meritano di essere evidenziati: il ritorno del bipolarismo e la spaccatura della società spagnola. La transizione dal franchismo alla democrazia, avvenuta tra il 1976 e il 1982, fu guidata da un governo di centro formato dalla parte più progressista del regime. Dopodiché socialisti e popolari si sono alternati al governo. Fino al 2011 il loro peso parlamentare è oscillato tra l’81% e il 92%, mentre dal 2015 è sceso fino a toccare il 54% mantenendosi sempre sotto il 60%.
Nel nuovo parlamento torneranno a rappresentare il 74% un deciso ritorno a bipolarismo. Nonostante ciò le elezioni ci restituiscono la fotografia di una società spaccata in due, bloccata o in balia degli estremisti. Una divisione sempre più comune in molte società democratiche in cui i grandi partiti non riescono a rappresentare tutte le istanze provenienti dalla società. Un problema che porta con sé instabilità, politiche ondivaghe e rivolte a nicchie sociali che generano lentezza, e perdita di competitività. Un problema di cui non soffrono le autocrazie che si impongono sulla scena internazionale.