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Unabomber, Zornitta: “Scagionato dopo 5 anni da incubo, né risarcimenti né scuse”

Di quegli anni ricordo la paura, l’incubo, sempre lo stesso. Sognavo di restare intrappolato nel caos degli sguardi inquisitori, delle accuse infamanti, della menzogna, degli amici ormai di spalle. Nel baratro di un lavoro ottenuto con sacrificio e pazienza e perso in età ormai non più giovane. Sognavo, nell’angoscia della reputazione distrutta. Ho pensato al suicidio, certo, a un certo punto ho creduto che fosse quello l’unico modo di aprire gli occhi e svegliarmi in un’altra realtà, quella che mi era stata strappata via all’improvviso. Senza alcun motivo”. E’ il racconto che Elvo Zornitta, l’ingegnere ingiustamente accusato di essere l’Unabomber italiano, fa all’Adnkronos. Sessantacinque anni, cinque dei quali – dal 2004 al 2009 – vissuti ingiustamente da ‘Unambomber’, si è salvato grazie alla moglie e alla figlia che hanno sempre creduto in lui.

Alla sua casa di Azzano Decimo, a Pordenone, non è mai andato nessuno a bussare, a chiedere scusa. Nemmeno Ezio Zernar, l’agente della Scientifica condannato in via definitiva con l’accusa di aver truccato la prova regina contro Zornitta, manomettendo parte di un oggetto trovato inesploso con una forbice sequestrata dalla sua abitazione.

Ma perché un uomo dello Stato, allora poliziotto della Scientifica impegnato nelle indagini, avrebbe scelto di gettarlo in quell’incubo? “Un po’ per garantire a qualsiasi costo un colpevole, e rispondere così alla sete di giustizia della gente. Ricordo la pressione mediatica che mi asfissiava – risponde Zornitta – Ma poi, soprattutto, immagino, per il desiderio di emergere e di acquisire prestigio agli occhi di tutti, riuscendo a risolvere un caso che aveva generato tanto clamore, incrementando in tal modo in maniera considerevole la propria possibilità di carriera”.