Intervistata dal vice direttore Raffaella Tregua, il presidente dell’Unicef Italia, Carmela Pace, risponde alle domande del QdS.
Presidente Pace, partiamo dalla guerra in Ucraina. In che modo l’Unicef sta supportando il popolo ucraino e, in particolare, i minori?
“A più un anno dall’escalation della guerra in Ucraina, una generazione di bambini ha vissuto oltre dodici mesi di violenza, paura, perdita, tragedia. Non c’è un solo aspetto della vita dei bambini su cui il conflitto non abbia avuto un impatto, con piccoli uccisi, feriti, costretti ad abbandonare le loro case, a perdere un’istruzione fondamentale e a vedersi negati i benefici di un ambiente sicuro e protetto. La guerra sta avendo un impatto devastante anche sulla salute mentale e sul benessere dei bambini. Si stima che 1,5 milioni di essi siano a rischio di depressione, ansia, disordini da stress post traumatico e altri problemi di salute mentale, con implicazioni ed effetti potenzialmente a lungo termine. L’Unicef ha aperto il suo ufficio a Keiv nel 1997. Nel corso degli anni ha sostenuto il Governo ucraino con quasi 130 milioni di dollari di aiuti per lo sviluppo di programmi sanitari, idrici e igienici, di istruzione e di protezione dei bambini e, oggi più che mai, continua a lavorare per rispettare gli impegni fondamentali per l’infanzia. In risposta alla guerra, abbiamo lanciato il programma Spilno in tutta l’Ucraina, un programma di sostegno umanitario integrato per le famiglie con bambini. Collaboriamo con il Governo, le autorità locali, le organizzazioni non governative, i volontari e il settore privato per sviluppare e gestire le attività del programma Spilno, che in ucraino significa ‘insieme’, fornendo servizi sociali e protezione ai bambini e alle loro famiglie. Dal 24 febbraio 2022 al 21 febbraio 2023, l’Unicef, grazie al supporto della comunità internazionale, ha coinvolto 1,4 milioni di bambini in istruzione formale e informale, fornito supporto per la salute mentale e psicosociale a 2,9 milioni di bambini e persone che se ne prendono cura, garantito servizi di risposta alla violenza di genere a 352.000 donne e bambini, dato accesso all’acqua sicura a 4,6 milioni di persone, fornito servizi per l’assistenza sanitaria a 4,9 milioni di persone e garantito assistenza in denaro a 1,4 milioni di persone in Ucraina e 47.494 famiglie nei Paesi vicini. Dall’Italia, abbiamo raggiunto più di 15 mila rifugiati ucraini attraverso interventi diretti di protezione, prevenzione e risposta alla violenza di genere, supporto psicosociale e ai percorsi di formazione e inclusione, e oltre 95 mila con informative online. Nella prima fase dell’emergenza l’azione dell’Unicef ha prioritizzato i bisogni di protezione rilevati presso le frontiere terrestri del Nord-Est Italia, dove si concentravano i flussi di ingresso. In collaborazione con le organizzazioni Arci, D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), Save the Children, l’associazione Stella Polare, l’Unicef e l’Unhcr hanno attivato due Blue Dot in Friuli-Venezia Giulia, nei valichi di frontiera di Fernetti (Trieste) e Tarvisio (Udine)”.
In cosa consiste l’attività in questi due varchi?
“I due centri di supporto per minorenni, donne, famiglie e persone con esigenze specifiche sono rimasti attivi per tutto il 2022 fornendo informative, supporto psicosociale, rinvio a servizi sul territorio, inclusi di prevenzione e risposta alla violenza di genere, raggiungendo oltre 10.700 persone (circa 7500 adulti, per lo più mamme, e oltre 3200 minorenni tra cui quasi 500 minori non accompagnati). Tra le altre azioni, condotte in collaborazione con Ismu, c’è quella del supporto al reinserimento scolastico di oltre 500 studenti neoarrivati attraverso la piattaforma e-learning per l’apprendimento delle lingue Akelius nelle scuole e i percorsi di sviluppo delle competenze attraverso il programma UpShift, in collaborazione con Junior Achievement Italia”.
Sul tema ambientale ci sono progetti per sensibilizzare i bambini?
“Certo, lavoriamo anche in questa prospettiva per dare delle regole da attuare per aiutare l’ambiente. Anche le piccole cose possono fare la differenza: per esempio l’uso delle borraccette d’alluminio che i bimbi possono riempire a casa e portare a scuola per evitare le plastiche. In Costa d’Avorio abbiamo un progetto che interessa anche le mamme, le quali raccolgono la plastica che viene formattata in mattonelle che messe l’una sull’altra, assemblate senza calce, senza cemento, creano aule scolastiche. Ogni mattonella ha un costo di soli 2 euro. in questo modo abbiamo un triplice vantaggio: offriamo alle donne l’opportunità di lavorare, diamo ai bambini dei luoghi in cui poter imparare e, al contempo, diamo nuova vita ad un materiale altamente inquinante”.
Com’è strutturata la vostra organizzazione?
“Nei Comuni capoluogo abbiamo i Comitati provinciali, ma sparse nelle province abbiamo le sezioni, ciascuna con un proprio rappresentante. Al di sopra delle Sezioni e dei Comitati provinciali c’è un Comitato regionale con un proprio presidente. Fino a questo livello tutto è svolto sulla base del volontariato. A livello nazionale abbiamo un presidente, un direttore generale e un ufficio centrale dove ci sono degli impiegati che non sono volontari, mentre tutto intorno, come dicevo, abbiamo una rete che conta oltre 5.000 volontari e che opera anche sulle raccolte fondi, che sono la principale fonte di entrate, insieme ai lasciti, attraverso le quali possiamo attuare i nostri progetti”.
Nonostante possiate contare solo su donazioni e lasciti riuscite a fare molte attività interessanti e utili…
“Sì, le nostre energie sono concentrate nella realizzazione di attività utili soprattutto per i bambini perché due sono le cose importanti: la salute e la scuola, le due s. E su queste dobbiamo operare”.
Quali sono le altre principali campagne che state portando avanti a livello internazionale?
“Siamo tornati da poche settimane dalla Turchia, dove abbiamo trovato una situazione disastrosa. Il terremoto dello scorso 6 febbraio ha distrutto interi palazzi dei quali sono rimaste solo macerie. Tante famiglie si sono ritrovate senza casa. Le nostre azioni si sono concentrate su due fronti: il problema idrico e quello delle scuole. In merito a quest’ultimo, abbiamo realizzato 37 centri di supporto per bambini, adolescenti e famiglie in 10 provincie per fornire supporto psicosociale, corsi di recupero, supporto per i compiti e servizi di protezione, nei quali i ragazzi disegnano il loro progetto e lo realizzano grazie all’intelligenza artificiale”.
Un altro tema delicato è quello dei minori stranieri non accompagnati. Avete progetti in atto per aiutarli?
“Da fine 2016 l’Unicef ha attivato in Italia, tramite l’ufficio Unicef per l’Europa e l’Asia centrale, un programma di assistenza e sostegno in favore di bambini e adolescenti rifugiati, richiedenti asilo e migranti, accompagnati e non, in collaborazione con le istituzioni nazionali e locali, finalizzato a garantire la loro protezione e inclusione sociale. Tra le principali attività svolte ci sono l’identificazione di casi a rischio, il primo soccorso psicologico e il rinvio a servizi specializzati, inclusa la risposta alla violenza di genere e il supporto psicosociale. Con l’incremento degli arrivi registratosi a inizio anno, abbiamo già potenziato l’intervento d’emergenza in frontiera per tutto il 2023 attraverso Protect, il progetto finanziato dalla Commissione europea attraverso il Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (Fami), finalizzato a rafforzare gli interventi di protezione e inclusione”.
Che genere di risultato avete ottenuto?
“Secondo i dati del nuovo Rapporto annuale 2022 del Programma a sostegno di bambini e adolescenti migranti e rifugiati in Italia, l’Unicef Italia ha raggiunto lo scorso anno 14.000 minorenni, dei quali 5.000 provenienti dall’Ucraina, con azioni di tutela dei diritti e migliori standard di accoglienza e protezione, mentre 10.700 sono le persone raggiunte attraverso i Blue dots allestiti in risposta all’Emergenza Ucraina. In continuità con gli anni precedenti, nel 2022 abbiamo rinforzato i sistemi basati sul supporto comunitario come l’affido familiare, il modello di mentoring e il sistema di tutori volontari. Sono stati inoltre promossi programmi di sviluppo delle competenze per l’inclusione socioeconomica di minorenni con background migratorio e rafforzate le competenze linguistiche degli studenti neo arrivati”.
L’Unicef si occupa principalmente dei bambini dei Paesi più poveri, ma anche in Italia, soprattutto al Sud, ci sono situazioni di grave marginalità, con tassi molto alti di dispersione scolastica. Come organizzazione, portate avanti progetti del Mezzogiorno?
“Per combattere la povertà educativa bisogna cominciare innanzitutto dall’ascolto e dalla partecipazione dei ragazzi più vulnerabili, perché attraverso le loro richieste possiamo progettare un futuro di comunità che li renda sempre più centrali. Ogni bambino e giovane ha diritto ad avere un’educazione di qualità perché la realizzazione delle piene potenzialità dei minorenni è un ‘bene comune’ di cui tutti siamo responsabili. L’Unicef in Italia, proprio su questo tema, ha portato avanti il progetto Lost in education, avviato nel 2018 e giunto a conclusione nel 2022, selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e realizzato con Arciragazzi nazionale. Abbiamo coinvolto 4.300 ragazze e ragazzi di 11/17 anni, 1.300 docenti, 20 amministrazioni comunali, 170 associazioni e più di 400 genitori in sette regioni”.
In cosa consiste questo progetto?
“Il progetto ha voluto sperimentare una strategia di contrasto della povertà educativa valorizzando e investendo sulle risorse di un luogo con la finalità di co-progettare comunità educanti intenzionali basate su tre pilastri: partecipazione delle ragazze e dei ragazzi; empowerment della comunità; scuola attore sociale che governa il processo educativo di comunità”.