Il commento del nostro corrispondente
RICHMOND (VA) – Alle 7 del mattino italiane del 6 novembre 2024 la notizia circolava già su tutti i giornali del mondo: Donald Trump è il 47esimo presidente degli Stati Uniti e si insedierà a Washington il 20 gennaio 2025.
Ho raccontato la notte elettorale prima dalla Casa Bianca e poi dalla “tana” della rivale democratica Kamala Harris alla Howard University di Washington, dove è stato realizzato un “watch party” in cui i sostenitori della vicepresidente hanno potuto assistere tramite un grande schermo allo spoglio in diretta dei risultati. Ad ogni Stato in bilico che Trump conquistava i fischi di disapprovazione aumentavano, fino a quando la diretta della Cnn non è stata sostituita dalla musica per nascondere la delusione.
Questo è solo l’ultimo atto di una campagna elettorale intensa, caratterizzata da troppe voci che si sovrappongono e che credono di avere l’autorevolezza di affrontare l’argomento direttamente dalle poltrone di casa loro. Una prima analisi critica va fatta innanzitutto sui sondaggi. Per mesi noi giornalisti abbiamo riportato statistiche di ogni tipo da fonti considerate “autorevoli”.
Nelle ultime settimane si è parlato di una corsa alla pari, di una percentuale di 50 e 50 che poi si è rivelata non veritiera: Trump ha vinto nettamente in una sola notte, battendo Harris sia negli Stati in bilico che nel voto popolare. Inoltre negli Stati democratici ha perso con meno distacco rispetto agli anni precedenti. Tutto ciò ci mette inevitabilmente nelle condizioni di mettere in dubbio i criteri con cui questi sondaggi sono stati realizzati, poiché queste statistiche vengono riportate dalla stampa e diventano fonte di informazione per i cittadini, che credono di avere delle consapevolezze, per poi scoprire che in realtà non era affatto così.
Tralasciando le testate statunitensi, che hanno parlato di elezioni quasi ogni giorno per tutto l’anno elettorale, gran parte di tutti gli altri giornali hanno iniziato a trattare l’argomento solamente a ridosso del voto, seguendo il solito concetto delle tendenze e dell’attenzione della gente che si traduce in visualizzazioni. Credo che per avere un minimo di autorevolezza sull’argomento bisognerebbe seguire le elezioni almeno dall’inizio dell’anno elettorale e sarebbe necessario farlo sul posto. Parlare solo per attirare attenzione è troppo semplice e superficiale.
Ho iniziato questo percorso lo scorso febbraio, ho seguito i comizi di Trump, gli eventi con Biden e le arringhe di Harris. Ho trattato l’argomento ogni giorno, ho seguito il processo “hush money” a New York, ho parlato con la gente, l’ho ascoltata e ho colto il clima che si respirava quando ancora le testate italiane parlavano di Trump solo per le consuete frasi fuori dagli schemi sui migranti e facevano riferimento a Biden solo quando cadeva da qualche scalinata.
Per trattare un argomento ci vuole autorevolezza poiché in questi casi anche chi la possiede può sbagliare. In queste elezioni si sono visti troppi esperti parlare in collegamento da casa con discorsi palesemente scritti in anticipo, che sembravano quasi intelligenti quando li esponevano. Eppure mentre tutti noi parlavamo di una corsa alla pari non ci siamo accorti che la politica della paura stava per vincere ancora, fino ad avere la meglio sulla libertà, sui diritti e sul potere delle donne.
Per tale ragione l’esito di queste elezioni dovrebbe essere una buona occasione per sondaggisti, giornalisti e presunti esperti di fare una lunga riflessione, abbandonare per un attimo gli algoritmi di Google e le visualizzazioni per poi iniziare ad avere un minimo di autocritica. Solo così saremo in grado di avere una visione più completa di cosa succede nel mondo e di quali potrebbero essere le possibili conseguenze. Informare gli altri è solamente lo step successivo.
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