Salute

Vaccini Covid adattati alle varianti, quando arrivano in Italia?

I vaccini attualmente disponibili contro il Covid hanno ottima efficacia (oltre il 90%) nel prevenire la malattia grave, ma l’emergere continuo di nuove varianti ripropone il tema della possibile fuga immunitaria. Ecco perché le aziende farmaceutiche stanno già lavorando su nuovi vaccini da adattare ai nuovi ceppi del virus, in modo da evitare spiacevoli sorprese nell’immediato futuro. Quando saranno a disposizione? “Speriamo entro l’autunno di avere un vaccino contro le varianti mutate. Stiamo testando differenti candidati e dosaggi, sperimentiamo molti percorsi. Non possiamo dare date certe”, ha dichiarato il presidente di Pfizer, Albert Bourla.

Vaccini bivalenti

L’obiettivo è “arrivare a un unico vaccino bivalente diretto contro le varianti al momento prevalenti aggiunte ai ceppi originari (quelli di Wuhan)”, spiega Valentina Marino, direttore medico di Pfizer Italia. “La sperimentazione è cominciata a fine 2021. La piattaforma utilizzata è sempre quella a RNA messaggero che permette una modifica in tempi rapidi ai quali però bisogna aggiungere quelli necessari per la sperimentazione e la richiesta di autorizzazione agli enti regolatori”. Moderna invece ha annunciato lo scorso marzo l’avvio di uno studio di fase 2 su un candidato vaccino bivalente da somministrare come richiamo e disegnato sulla variante Omicron. Anche in questo caso si tratta di un vaccino mRNA.

Varianti sotto osservazione

L’Oms sta monitorando diverse sottovarianti, in particolare BA.3 e BA.4, del virus Omicron. Non sappiamo ancora se le mutazioni che le caratterizzano possano conferire ai virus maggiore contagiosità o capacità di dare malattia grave e se siano in grado di eludere l’immunità indotta dai vaccini ora in uso. “Per queste varianti, sono disponibili prove sulle proprietà genomiche, epidemiologiche o in vitro che potrebbero implicare un impatto significativo sulla trasmissibilità, gravità e/o immunità. Realisticamente potrebbero avere un impatto sulla situazione epidemiologica nell’Unione Europea. Tuttavia, le prove sono ancora preliminari o associate a grande incertezza”, si legge nel rapporto dell’Ecdc.