Editoriale

Vera concorrenza, vera trasparenza

Le lobbies in ogni Comunità hanno la funzione di tirare il lenzuolo dalla propria parte, scoprendo quella dell’interesse generale. Ciò accade perché non ragionano in maniera equilibrata e cioè facendo in modo che l’interesse particolare rientri in quello generale, affinché entrambi siano soddisfatti. Non necessariamente ci deve essere un contrasto fra l’interesse generale e quello di parte.
A guastare questo possibile equilibrio vi è l’ingordigia di guadagnare più dell’obiettivo, con la conseguenza che bisogna ledere il diritto di tutti.

È difficile stare dalla parte dell’interesse generale, perché la posizione aliena consensi e simpatie, anzi attira antipatie e imprecazioni. È per questa ragione che la classe politica non tutela l’interesse generale, almeno nella maggior parte dei casi, e chiude gli occhi sul business delle lobbies, capaci di esercitare forti pressioni anche sui singoli deputati.

La concorrenza è uno strumento immateriale che tutela l’interesse generale perché favorisce i cittadini e le cittadine. Quando essa è vera, può essere controllata. Per essere controllata è necessario che vi sia trasparenza, che tutte le luci vengano accese sulle transazioni, che ogni atto, fatto o comportamento sia nei binari previsti dalle leggi, le quali devono essere formulate in italiano, in modo chiaro, senza alcuna deviazione verso l’interesse di parte.

Vi sono tre casi nazionali nei quali prevale l’interesse di parte rispetto a quello generale. Il primo riguarda le concessioni dei litorali ai lidi balneari; il secondo la categoria dei tassisti; il terzo – forse il più incredibile – quello dei servizi pubblici in house. Diamo uno sguardo ai tre casi.

La Direttiva europea n. 123 del 2006, promossa dal deputato Frits Bolkestein, da cui ha preso il nome, prevedeva già da qualche anno che le concessioni balneari venissero messe all’asta di evidenza europea. Ma i vari Governi italiani che si sono succeduti hanno preferito rinviare il recepimento di tale Direttiva, cosicché la materia si è cristallizzata.

I concessionari dei lidi balneari non vogliono entrare in competizione con altri soggetti perché in atto pagano tasse non corrispondenti ai loro ricavi. Almeno è così nella gran parte dei casi.

Hanno ragione per un fatto incontrovertibile: negli anni, i concessionari hanno speso molte risorse finanziarie in investimenti per attrezzare adeguatamente le strutture. Sotto questo profilo, il Governo potrebbe intervenire prevedendo che, una volta messi all’asta i territori, nel caso il vecchio assegnatario non venga confermato, gli verrà rimborsato l’importo relativo agli investimenti, comunicato precedentemente e opportunamente documentato e controllato.

Veniamo ai tassisti. Per questa categoria la situazione è kafkiana, in quanto esiste una sorta di mercimonio delle licenze (concessioni), che, proprio per loro natura, non possono essere oggetto di alcuna transazione economica. la realtà è che invece lo sono da tanti decenni, per cui ogni tassista che subentra a uno uscente ha dovuto pagare somme rilevanti per ottenere la voltura della concessione, che può tranquillamente definirsi un atto illegale, in quanto il Comune che la rilascia può ritirare la concessione stessa senza obbligo di alcun indennizzo.

Dei tre settori in analisi oggi, il peggiore, sotto il profilo della concorrenza, è quello dei servizi pubblici affidati, come si dice, in house. Un Ente pubblico costituisce una società di cui è socio unico, a cui poi affida un determinato servizio.
Questo affidamento diretto vìola la legge della concorrenza perché impedisce ad altri soggetti economici di partecipare alla gara e di offrire migliori condizioni ai/alle cittadini/e.

Perché di questo si tratta: il servizio pubblico è destinato a servire meglio i/le cittadini/e. Ma quando esso non è stato messo all’asta ed è stato attribuito direttamente a una propria società “figlia”, ecco che vengono meno quei criteri di trasparenza, funzionalità ed economicità. Ecco perché i/le cittadini/e sono danneggiati o perché pagano di più oppure perché il servizio è di scadente qualità. Perché questo accade? Per il solito clientelismo, poiché società in house significa posti di amministrazione, di dipendenti e di altra natura: voti!