La libertà di pensiero, in una società democratica, sembra oggi un argomento scontato: noi tutti affermiamo di essere liberi di esprimere e di manifestare le nostre opinioni in qualsiasi maniera, ma è proprio vero? Siamo liberi di dire e di manifestare la nostra opinione su qualsiasi argomento oppure no? C’è libertà di pensiero, di opinione per tutti, oppure esiste una libertà a senso unico, per alcuni sì e per altri no a seconda delle circostanze, senza possibilità di confronto, come nelle dittature? E chi è che dovrebbe eventualmente decidere se posso o non posso esprimere un determinato pensiero? Se il criterio fosse dettato dalle leggi dello Stato, ciò significherebbe che quelle leggi sono indiscutibili ed eterne, mentre le leggi possono essere confutate, abrogate o modificate a seconda dei vari Governi che si susseguono. Ognuno di noi deve accettare l’opinione degli altri, nel rispetto reciproco; deve avere la possibilità di dire la “sua”, senza pretendere che sia condivisa dagli altri. Siamo un paese libero? E allora perché quando qualcuno esprime un pensiero, un’opinione fuori dal coro, non conforme al modo di pensare della stragrande maggioranza, viene messo a tacere o contrastato in modo irrispettoso e inaccettabile?
Barbara Palombelli, conduttrice de “Lo Sportello di Forum” durante la puntata del 16 settembre c.a., ha posto un interrogativo per cercare di capire i numerosi casi di femminicidio: “Questi uomini erano completamente fuori di testa, obnubilati oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte?”. Poi ha dichiarato su Facebook: “Bisogna guardare la realtà da tutte le angolazioni”. Le reazioni al suo interrogativo non si sono fatte attendere. Sono stati in molti a schierarsi contro la Palombelli affermando che “Deve essere sospesa dal programma”, “le sue parole un’offesa e un oltraggio alle donne uccise”, “parole infelici e molto gravi”, “parole da brivido”, “errori imperdonabili” ecc. E’ ovvio che tutti condanniamo i femminicidi, certamente anche la Palombelli, ma dal momento che i casi stanno aumentando sempre più, significa che il femminicidio è diventato un problema sociale e quindi dobbiamo interrogarci sulle possibili cause di queste tragedie familiari, sul perché di certe dinamiche relazionali malate che impediscono di vivere l’amore come dono di sé, piuttosto che come possesso dell’altro.
Mi chiedo: quale libertà di pensiero esiste in un dibattito pubblico, quando non è possibile porsi qualche interrogativo, senza essere giudicati o travisati? Quando il britannico Tom Daley, oro olimpico nei tuffi, da Tokyo proclamò: “Sono molto orgoglioso di essere un uomo gay e un campione olimpico”, nessuno ha protestato, nel rispetto della diversità di genere e di pensiero. Giusto! Mi chiedo, tuttavia, cosa sarebbe successo se qualche altro atleta avesse dichiarato con orgoglio di essere un uomo etero? Sono sicuro che molti avrebbero avuto da ridire. In verità, dovremmo essere tutti liberi di esprimere la nostra opinione nel rispetto degli altri, ma, purtroppo, siamo diventati tutti standardizzati, tutti massificati, tutti costretti a pensare allo stesso modo, per ottenere facili consensi. L’Associazione Luca Coscioni ha iniziato la campagna di raccolta firme per un referendum sull’eutanasia legale, con uno slogan scritto su un manifesto che diceva: “Liberi di scegliere dall’inizio alla fine”. In nome della libertà di opinione, nessuno ha manifestato contro questo pensiero e contro il manifesto. Quando, invece, alcuni anni fa (2018) fu affisso dalla Onlus Provita un maxi-manifesto anti-aborto in via Gregorio VII a Roma, dopo alcuni giorni il manifesto fu rimosso a causa delle proteste e della mobilitazione di associazioni, movimenti, cittadini, forze politiche ecc., perché ritenuto aberrante e offensivo, come se volesse mettere in discussione la legge 194.
Siamo, allora, veramente liberi di esprimere i nostri pensieri? La standardizzazione del pensiero è un grave rischio per la libertà; al contrario, potere esprimere la propria opinione senza giudicare chi la pensa diversamente e senza temere di essere giudicato o addirittura insultato, è segno di civiltà e progresso in un Paese autenticamente libero e democratico.
Don Piero Galvano
Direttore della Caritas Diocesana di Catania