Ultimo giorno di gennaio. Catania si risveglia con le urla della violenza appena consumata ancora nell’aria. Nel tardo pomeriggio del giorno prima, in un bagno pubblico di Villa Bellini, il salotto buono della città, c’è stato uno stupro. La vittima è una ragazzina di appena 13 anni che ancora sconvolta ha la forza di denunciare subito i suoi aggressori, tutti coinvolti a vario titolo nell’abuso. Si tratta di 7 giovanissimi egiziani, ora rinchiusi tra carcere e domiciliari. Due quelli che hanno materialmente commesso l’abuso; gli altri avrebbero bloccato il fidanzatino di lei e osservato la scena.
Stesso giorno, stessa ora, ma stavolta 80 chilometri più a nord. Siamo a Messina, nella zona di Villaggio Aldisio, quartiere estremamente popoloso e popolare della città, proprio a due passi dal Policlinico universitario e dalla baraccopoli della zona. Una lite per futili motivi, poi l’accoltellamento e la corsa in ospedale con la famiglia. È stato un 13enne a conficcare una lama da 6 centimetri nell’addome di un 12enne, salvo per miracolo. Chi ha commesso la violenza non andrà in carcere: è troppo giovane.
Trascorre appena una settimana, restiamo a Messina. Ci trasferiamo però a due passi da quello che è anche qui il salotto buono della città: piazza Cairoli. Nella villetta Quasimodo, già location di molteplici rapine e atti di bullismo in passato, un quindicenne viene aggredito da quattro tunisini di età compresa tra i 19 e i 22 anni. Poco più di venti euro il bottino della rapina, cui sono seguite le botte nei confronti del 15enne. I responsabili sono stati tutti rintracciati e arrestati.
Si tratta solo di tre dei principali casi denunciati in ordine temporale che hanno riguardato la Sicilia nelle ultime due settimane. “A Catania – ha detto Enrico Trantino, sindaco della città etnea – abbiamo un problema di sicurezza che più volte abbiamo rappresentato a Palazzo Chigi e al ministro degli Interni, ma ci tengo a precisare che i fatti di molestie e violenze sessuali sono inconsueti nella nostra comunità”.
A sconvolgere resta però l’età sempre più bassa di quelli che sono gli attori protagonisti o le principali vittime delle violenze. Un tema, quello della violenza tra giovanissimi, che vede in primo luogo la scuola come baluardo attraverso il quale comprendere il disagio per arginarlo e contrastarlo. “Per le condizioni in cui si trova la scuola in Sicilia, è semplicemente impossibile pensare che questo possa verificarsi”. A spiegarlo ai microfoni del Quotidiano di Sicilia è Adriano Rizza, segretario regionale FLC CGIL.
“Abbassandosi l’età dei protagonisti – dice Rizza – non può che essere coinvolta la scuola o quantomeno il sistema di istruzione nel nostro Paese. Questo però non ha gli strumenti per fronteggiare un’emergenza sociale: basti pensare alla fatica nel tentare di dialogare anche con le famiglie e ai sempre più frequenti casi di aggressione di famiglie o studenti ai danni degli insegnanti. Più che di una riforma politica ogni anno, avremmo bisogno di una riforma culturale della scuola, mettendo in pratica gli insegnamenti di Danilo Dolci e Don Milani”.
La scuola rischia di divenire sempre più palcoscenico di sfogo giovanile nei confronti delle istituzioni e dell’autorità dello Stato: “Proprio per questa ragione abbiamo chiesto l’introduzione di uno psicologo per ogni istituto scolastico e di uno sportello permanente per raccogliere tutte le situazioni di disagio che vivono i giovanissimi. Questo poi si scontra con un mondo degli insegnanti composto anche da tanti precari che ricevono lo stipendio con mesi e mesi di ritardo e le cui motivazioni, talvolta, possono lecitamente essere intaccate”, ha aggiunto il segretario regionale FLC CGIL.
Un disagio che si innesta in un contesto martoriato dalla dispersione scolastica. Stando all’ultimo rapporto diffuso da Save The Children, in Sicilia è pari al 21.1 %, quasi il doppio rispetto alla media nazionale del 12.7% e ancora più lontano dal livello fissato dal Consiglio dell’Ue del 9% da raggiungere entro il 2030. “È questo il dato dal quale partire – spiega Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università degli Studi di Messina”.
“Al Sud, l’allontanamento dalla scuola corrisponde molto spesso anche all’idea che si possa finire in sacche di delinquenza o in baby gang. Episodi di violenza come quelli dei recenti fatti di cronaca si verificano per l’assenza di un processo di inclusione veramente capace di valorizzare e far crescere nella nostra realtà persone che vengono da altre culture. Non aiuta in quest’ottica la diffusione di contenuti violenti e che inducono alla prevaricazione presenti in molti video musicali di cantanti neomelodici in Sicilia e Campania”, ha aggiunto Pira.
La violenza fisica è solo l’estremizzazione di un disagio generazionale radicato in abusi di altro genere: “Come diceva Bufalino, in Sicilia non c’è solo la mafia ma anche la mafiosità. Il rischio – spiega il sociologo agrigentino – è di avere una giovane mafiosità che si manifesta, qui più che altrove, in fenomeni legati al bullismo, al cyberbullismo, alla violenza di genere e al sexting”.
E se la scuola può far poco in un simile contesto, in alcuni comuni si cerca l’aiuto anche delle parrocchie. È il caso di Messina, con l’Amministrazione che per tramite dell’assessore ai servizi e alle politiche sociali, Alessandra Calafiore, dialoga anche con i parroci presenti sul territorio.
“Don Enzo, proprio della parrocchia di Villaggio Aldisio, è un punto di riferimento per tutto il territorio. Facciamo anche degli interventi nelle scuole per contrastare il fenomeno, ma dobbiamo dire che in città, al di là dei recenti casi di cronaca, è molto meno diffuso che altrove. Nel nostro Comune sono presenti 8 centri socio – educativi situati nelle zone più disagiate e più fragili della città – ha aggiunto la Calafiore – ma l’interlocuzione con le parrocchie e con gli oratori può essere fondamentale per arginare problemi sociali come questi”.
La violenza di Catania e i due casi di cronaca di Messina, come detto, rappresentano solo la punta dell’iceberg di un mondo sommerso. Le risse tra adolescenti anche nelle zone centrali delle città e non più solo nelle periferie, rappresentano un dato con il quale i commercianti hanno imparato a convivere nei fine settimana e nelle serate danzanti.
Quanto questo possa avere influito il tema della violenza giovanile sulla chiusura delle attività commerciali – con l’ultimo report prodotto dalla Camera di Commercio che parla di oltre tremila aziende che hanno cessato di esistere in tutta la provincia: un numero spropositato rispetto al resto della Sicilia – lo racconta Carmelo Picciotto, presidente di Confcommercio Messina e proprietario di una delle principali attività di ristorazione del centro città.
“Le attività commerciali stanno chiudendo a prescindere dai recenti casi di cronaca, anche perché si tratta di problematiche che sono sempre esistite sul territorio e – dice Picciotto – non ritengo che possano aver influito in modo importante per quanto riguarda soprattutto quelli che sono i commercianti presenti nel centro di Messina”.