Qual è la struttura del Cnr?
“Il Cnr si compone di cento Istituti distribuiti su tutto il territorio nazionale, suddivisi in sette dipartimenti tematici, ma tutti caratterizzati da interdisciplinarietà. È mia convenzione, infatti, che le vere scoperte, i veri breakthrough tecnologici, prendono vita dall’interazione tra saperi diversi. é quindi importante convincere i ricercatori che è limitante chiudersi nella propria area culturale, perché, anche se si conseguono risultati importanti in tempi più contenuti, il vero impatto sull’avanzamento delle conoscenze e delle tecnologie, quello destinato a segnare i cambiamenti e le innovazioni, lo si ottiene interagendo con più saperi. In linea con tale principio, i concorsi, sia per l’avanzamento di carriera all’interno del Cnr che per le nuove assunzioni, si svolgono all’interno di un grande Dipartimento con membri di commissione afferenti a diversi discipline, e non più come avviene all’Università e anche in passato al Cnr, concorsi per esperti. Chi fa il concorso deve dimostrare di essere esperto nella propria materia, ma anche di possedere l’umiltà di parlare con gli esperti di altri settori. Siamo gli unici in Italia a fare i concorsi così. Non più concorsi disciplinari ma multidisciplinari”.
Può darci un aggiornamento sui vari filoni?
“Partendo dal filone delle Scienze umane e sociali, siamo molto bravi in archeologia, con tre Istituti importanti. Intratteniamo rapporti eccezionali con l’Egitto e una nostra ricercatrice è stata nominata direttrice dell’Istituto archeologico di cultura in Egitto. Nel settore del’egittologia e di tutta la cultura del Nord Africa, dei Fenici, siamo rimasti gli unici esperti italiani. Le università, infatti, hanno perso molti docenti e dovendo affrontare i problemi legati al budget e ai dipartimenti non hanno avuto la forza di investire in questo settore”.
Altre attività rilevanti?
“Altro dipartimento importante è quello della fisica, con una grande attività nel settore della luce. Abbiamo sviluppato una serie di tecnologie laser molto avanzate ed è stato brevettato un sistema che permette di vedere al di là della fiamma. Siamo a un livello di studio quasi applicato: vi sono già gli strumenti ma ancora non sono in mano alle forze che operano. Siamo tra i vincitori a livello Europeo di un grosso progetto flagship per il grafene: un nuovo materiale che sostituirà i materiali elettronici a cui siamo abituati, formato da una catena bidimensionale di carbonio, costituito da tanti strati sovrapposti. La possibilità di inserire un elemento tra gli strati permette una grossa dilatazione e quindi di accumulare molte informazioni. Si tratta, inoltre, di un materiale ad altissima coibenza, per cui ha grande potenziale. Basti pensare che permetterebbe di ridurre di mille volte la dimensione di un chip che, ad esempio si usa all’interno di pc o dei telefonini, che potranno così essere sempre più piccoli. Un altro dipartimento è quello dei materiali che studia risorse innovative con applicazione anche in campo medico. Vi sono ad esempio nuovi materiali adoperati dalla cosiddetta ingegneria tissutale per l’accrescimento osseo. In breve, si inserisce un precursore dell’osso, formato da tutte le componenti necessarie. La parte polimerica va a scomparire man mano che la cellula va a riempire vuoti e la cellula, allo stesso tempo, ingloba il materiale che ci sta intorno. L’Istituto Irtec, vicino Bologna, è top class in questo”.
Di cosa ha bisogno il Paese per ripartire?
“Sono convinto che l’Europa e l’Italia, il Sud prima di tutto, abbiano bisogno di un processo di reindustrializzazione, e non di mettere a posto le industrie esistenti. Occorre cambiare il sistema di competitività, non concentrandosi più sul costo del prodotto ma sulla sua qualità e sul suo valore aggiunto. Da qui nasce quello che definisco ‘rinascimento industriale’: un’industria che riporta al centro la figura della persona, che diventa superiore all’importanza della macchina, perché è la persona che fa l’innovazione”.
Vi sono collaborazioni sul fronte internazionale?
“Numerose e tutte di altissima qualità. Inoltre il Cnr ha proprie strutture di ricerca avanzata in alcune aree particolarmente interessanti per le ricerche intersettoriali. Tra queste ricordo la base Cnr nelle isole Svalbard in cui studiamo i grandi cambiamenti climatici insieme con altri ricercatori stranieri”.
Qual è l’attività dell’Istituto sul fronte dei rifiuti?
“Il dipartimento di Ingegneria, Ict e tecnologie per l’energia e trasporti ha sviluppato una serie di sistemi per il riutilizzo dei rifiuti. Vi sono esperti molto capaci che hanno messo a punto, ad esempio, una tecnica per eliminare i volatili organici dei rifiuti eliminando così i cattivi odori tipici dei rifiuti organici. Un altro filone è quello del riciclo dei materiali. Oggi le plastiche da riciclo possono avere proprietà superiori rispetto a quelle vergini. Sono stati messi a punto sistemi di allungamento della catena polimerica all’interno dell’estrusore stesso e alla fine ne esce fuori un materiale con proprietà migliori della materia originaria".
Cosa può dirci sul processo complessivo della riutilizzazione dei rifiuti ai fini della produzione di energia?
“L’istituto Motori, costruito intorno al 1950, tra i più antichi istituti del Cnr, si occupa di tutto ciò che ha a che fare con la trasformazione energetica, insieme con l’istituto di ricerche sulla Combustione. Il rifiuto viene visto da questi esperti come un’opportunità e non più come un problema. Contraria a tale visione, la questione delle discariche fa il paio con ideologie che non sono più moderne. Incatenarsi ad un termovalorizzatore solo per dire no, ad esempio, è una cosa stupidissima. Quando nasce un termovalorizzatore occorre invece chiedere continue analisi, il problema nasce infatti solo se il sistema non funziona, altrimenti l’impatto è minimo. Si parla tanto di diossina, che non esiste più perché si lavora in un range di temperature in cui la diossina non riesce a sopravvivere".