Lavoro precario vs lavoro “sicuro” la Sicilia resta la regina degli incerti

PALERMO – Il lavoro “sicuro”, quello a tempo indeterminato, è ormai sempre più una chimera per i siciliani. Lo dicono i dati di Unioncamere nel suo ultimo rapporto di Excelsior su “i programmi occupazionali delle imprese rilevati dal sistema delle camere di commercio”: il 60% dei lavoratori vengono assunti con contratto a tempo determinato, mentre solo il 19% riesce ad ottenere un contratto a tempo indeterminato.
 
Peggio della Sicilia, di parecchio, solo la Sardegna, mentre si piazzano sui nostri stessi numeri la Puglia, il Molise, la Toscana, il Trentino Alto Adige e la Liguria. Se il valore percentuale dei lavoratori a tempo determinato si mantiene in linea con la media nazionale, per quanto riguarda i valori dei precari il dato schizza in alto in maniera drammaticamente negativa.
 
Tra i più virtuosi la Lombardia e l’Umbria, i cui lavoratori precari si mantengono al di sotto della metà del totale. Un quadro poco confortante per i giovani e meno giovani dell’isola, che si ritrovano, in buona parte, a doversi arrabattare tra un contratto a termine e all’altro, con sempre maggiori difficoltà via via che aumenta l’età e le possibilità di essere assunti diminuiscono.
 
Una condizione che desta preoccupazione, perché non permette di porsi in prospettiva positiva per il futuro, ma che lascia l’amaro in bocca e toglie ogni spinta alla progettualità. I dati presentati derivano dall’indagine Excelsior realizzata da Unioncamere in accordo con l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro. L’indagine, che è inserita nel Programma Statistico Nazionale, è svolta tramite il sistema Excelsior e porta alla pubblicazione di un bollettino periodico in cui vengono mostrati i dati e le previsioni rese possibili da una raccolta così stringente e ravvicinata. Le informazioni a cui si riferiscono i dati sono state raccolte nel periodo compreso tra il 5 e il 19 aprile scorsi, attraverso le interviste realizzate presso circa 131.000 imprese, campione rappresentativo delle imprese con dipendenti al 2017 dei diversi settori industriali e dei servizi.
 
 
I titoli di studio più richiesti si fermano al diploma quinquennale, nel campo dell’amministrazione, finanza e marketing, seguito dall’indirizzo turistico, enogastronomico e dell’ospitalità, e dalla meccanica. In generale, le proposte di lavoro sono per circa un terzo per i diplomati, un altro terzo per chi ha conseguito una qualifica triennale o una qualifica professionale regionale riconosciuta a livello nazionale, con più di un quarto per chi ha solo la scuola dell’obbligo e solo nel 10 per cento dei casi per i laureati.
 
Per i laureati, i settori più interessanti per le imprese nel periodo indicato sono stati quello economico e a seguire quello dell’ingegneria elettronica e dell’informazione, seguiti dalla sanità, in particolare paramedici. La manovalanza con una preparazione scolastica che si ferma alla qualifica professionale triennale è richiesta in particolare nella ristorazione, nell’ambito meccanico e nel benessere. Un dato interessante riguarda anche i settori che hanno maggiormente registrato entrate di personale femminile: le industrie tessili, dell’abbigliamento e delle calzature, i servizi di supporto alle imprese e alle persone, i servizi turistici.
 
Una distribuzione che rimane comunque all’interno della visione tradizione del ruolo della donna, che rimane ancora spesso relegata ai ruoli di cura o ai lavori considerati “femminili”, sebbene anche in campi considerati “maschili” come l’informatica o i servizi finanziari o l’ingegneria si stia registrando una buona penetrazione di tante giovani competenti e pronte alla competizione.