Su cariche elettive intervenga la Consulta

PALERMO – Nella Gazzetta ufficiale della Regione siciliana n. 25 del 10 giugno scorso è stata pubblicata l’ordinanza del Tribunale di Palermo, prima Sezione civile, con la quale si sospende il procedimento e si trasmettono gli atti alla Corte Costituzionale. In particolare, il ricorso ha come oggetto l’accertamento della sussistenza della causa di incompatibilità tra la carica di assessore del Comune di Monreale e di deputato regionale, con la richiesta da parte del ricorrente della conseguenziale decadenza dalla carica di assessore. Le situazioni di incompatibilità alla carica di assessore comunale trovano in Sicilia la loro espressa regolamentazione negli artt. 10 e 11 della legge regionale n. 31/86 nonché nell’art. 12 della legge regionale n. 7/1992 che ha esteso ai componenti della giunta le ipotesi di incompatibilità previste per la carica di consigliere comunale e di sindaco.
Peraltro è da ricordare come il comma 5 dell’art. 12 della legge regionale n. 7/1992 preveda che “sono incompatibili le cariche di sindaco, di presidente della Provincia, di assessore comunale e provinciale con quella di componente della Giunta regionale” e non di deputato regionale. Inoltre, in considerazione dell’art. 14 dello Statuto della Regione siciliana, che prevede la potestà esclusiva regionale in materia di ordinamento degli enti locali, è da escludere la diretta applicabilità dell’art. 65 del decreto legislativo n. 267/00, secondo il quale “Il presidente e gli assessori provinciali, nonché il sindaco e gli assessori dei comuni compresi nel territorio della Regione, sono incompatibili con la carica di consigliere regionale” – nonché dell’art. 68 comma 2, secondo il quale “le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della elezione sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle stesse cariche”. Pertanto, secondo i giudici palermitani appare necessario sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 31/1986, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra la carica di sindaco o assessore di comune con popolazione superiore a 20 mila abitanti e di deputato regionale. Tale questione è rilevante ai fini del giudizio, in quanto l’eventuale accoglimento della censura determinerebbe una diversa valutazione del ricorso.
Secondo l’orientamento predominante in seno alla Corte Costituzionale (sentenza n. 201 del 2003 – richiamata nella sentenza n. 143/2010) è stato evidenziato come la disposizione che configura l’incompatibilità dei sindaci e degli assessori alla carica di consigliere regionale esprime il principio secondo cui esistono “ragioni che ostano all’unione nella stessa persona delle cariche di sindaco o assessore comunale e di consigliere regionale e nella necessità conseguente che la legge predisponga cause di incompatibilità idonee a evitare le ripercussioni che da tale unione possano derivare sulla distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali e, in ultima istanza, sull’efficienza e sull’imparzialità delle funzioni, secondo quella che è la ratio delle incompatibilità, riconducibile ai principi indicati in generale nell’art. 97, primo comma, della Costituzione”.
Non la regola dell’art. 65 del decreto legislativo n. 267 del 2000, dunque, deve assumersi come limite alla potestà legislativa regionale, ma il principio ispiratore di cui essa è espressione.
Il coesercizio delle cariche in questione è, a quei fini, in linea di massima, da escludere.
Come ha osservato la Corte, il legislatore statale, con il citato art. 65, ha messo in opera il principio anzidetto, tramite la predisposizione di una regola generale di divieto radicale; ma ciò non esclude scelte diverse nello svolgimento del medesimo principio, con riferimento specifico all’articolazione degli enti locali nella Regione, naturalmente entro il limite della discrezionalità, oltrepassato il quale, il rispetto del principio, pur apparentemente assicurato, risulterebbe sostanzialmente compromesso.