ROMA – Manca il coordinamento delle norme fiscali che riguardano l’accertamento ed il contenzioso tributario, con le disposizioni in materia di recupero di contributi previdenziali.
Per la verità, più che di mancato coordinamento, si tratta di un vero e proprio vuoto normativo.
Giova ricordare al riguardo che il Decreto legislativo 18/12/1997 n. 462, in vigore dal 18 gennaio 1998, all’art.1, aveva disposto che “per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che (…) devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi (…)”.
Quindi, fino al 2010, l’Agenzia delle Entrate era competente al recupero sia in materia fiscale che contributiva, iscrivendo a ruolo anche i contributi previdenziali scaturenti dagli avvisi di accertamento.
Ma dal 1^ gennaio 2011, però, l’art. 30 del D.L. 31/05/2010 ha stabilito che l’attività di riscossione relativa al recupero delle somme a qualunque titolo dovute all’Inps, anche a seguito di accertamenti degli uffici, deve essere effettuata mediante la notifica di un avviso di addebito avente valore di titolo esecutivo.
Sono nati, così, i due “binari paralleli”, anche quando la base imponibile sia la stessa, sia in materia fiscale che in materia contributiva.
Dal 2011 l’avviso, quello dell’Inps (“parallelo” all’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate), contiene l’intimazione del pagamento, da effettuare entro 60 giorni dalla data della notifica. Contro tale avviso è possibile proporre opposizione, entro 40 giorni (per vizi formali, entro 20 giorni), esclusivamente avanti il giudice del lavoro competente in relazione alla sede dell’Inps che vanta la pretesa.
Si è realizzata, in questo modo, la netta separazione tra l’accertamento fiscale ed il connesso recupero dei contributi previdenziali. E ciò non solo per l’esistenza di diverse procedure di recupero (Avviso di accertamento in materia fiscale e Avviso di Addebito – Ade – in materia contributiva), ma anche per l’eventuale contenzioso (ricorso in Commissione Tributaria, nel primo caso, presso il Giudice del Lavoro, nel secondo caso).
È utile ricordare a questo proposito che il Dpr 29/09/1973 n. 602 recante le “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”, all’art.15 prevede che le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, dopo la notifica dell’atto di accertamento sono iscritti a ruolo, a titolo provvisorio, per un terzo”.
Ed ancora, ai sensi dell’articolo 68 del D.Legislativo 546/92 (contenzioso tributario), l’importo da pagare aumenta o si riduce a seconda dell’evoluzione del contenzioso (tributario), a favore dell’Amministrazione Finanziaria oppure a favore del contribuente.
Norme, riguardanti la riscossione provvisoria in pendenza di giudizio, che non esistono in materia previdenziale/contributiva.
Può accadere così, volendo fare un esempio, che l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento con il quale determina un maggiore imponibile a carico di un imprenditore individuale o in caso di società di persone, del/i socio/i lavoratore/i e, conseguentemente, addebita maggiori imposte ai fini dei redditi e dell’Iva.
Dal maggiore imponibile accertato, scaturisce anche un maggiore ammontare di contributi previdenziali.
Per questi contributi, l’Inps emette, dal canto suo, l’Avviso di Addebito.
Contro entrambi gli avvisi il contribuente propone ricorso.
Senonchè, se la sentenza di primo grado della Commissione Tributaria adita (ma anche nei gradi successivi) annulla l’atto impositivo da cui scaturiscono anche i predetti contributi previdenziali, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate annulla l’iscrizione a ruolo o rimborsa quanto eventualmente già pagato “per un terzo” in pendenza di giudizio (articolo 68 del D.Leg/vo 546/92).
L’Inps, invece, contrariamente a quanto accade in materia tributaria, non procede allo sgravio/rimborso delle somme iscritte provvisoriamente a ruolo.
Infatti, come già detto, a partire dal 2011, da quando cioè è stata modificata la vecchia procedura che dava luogo al recupero, con lo stesso atto dell’Agenzia delle Entrate, dei tributi e dei contributi fondati sulla stessa base imponibile, l’Inps segue il binario parallelo del ricorso presso il Giudice del Lavoro, attendendo quindi la sentenza di quest’ultimo, sentenza la quale, non solo può arrivare in tempi diversi rispetto alla sentenza del Giudice tributario, ma può essere anche di segno contrario alla prima.
E ciò, come evidenziato in precedenza, nonostante il fatto generatore della (presunta) evasione (in materia di tributi ed in materia di contributi previdenziali) sia assolutamente lo stesso.
L’Inps, infatti, non è parte attiva nel contenzioso fiscale, non ha conoscenza dell’avvio della controversia e non può intervenire in giudizio.
Non esistono, inoltre, norme, analoghe a quella di cui all’articolo 68 del Decreto Legislativo 546/92 (Pagamento del tributo in pendenza del processo) che, nel contenzioso tributario, permette l’iscrizione a ruolo frazionata in relazione all’evoluzione del giudizio.
Una situazione veramente paradossale, visto che l’Inps, seguendo il “binario parallelo”, non pare sia disponibile a riconoscere il contenzioso tributario, anche definitivo, favorevole al contribuente.
Appare indispensabile, pertanto, che vengano al più presto emanate disposizioni (legislative, ma eventualmente anche amministrative da parte dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate) che possano porre rimedio alla segnalata anomalia, creando, cioè, quel punto di contatto tra contenzioso tributario e contenzioso civile (lavoro), in mancanza del quale si determina una situazione che certamente non è coerente con alcuni principi costituzionali, come quelli della capacità contributiva e del buon andamento della Pubblica Amministrazione.