Attività produttive

Anche in Sicilia è credit crunch, meno crediti e meno liquidità

PALERMO – Le piccole imprese siciliane fanno sempre minor ricorso al credito bancario. Nell’ultimo anno in Sicilia, tra agosto 2022 e agosto 2023, secondo i dati forniti da Banca d’Italia ed elaborati dalla Cgia, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese, il credito alle imprese siciliane con meno di 20 addetti è diminuito di 422 milioni di euro, con una variazione percentuale in negativo del 7,5%.

Il calcolo è riferito agli impieghi bancari vivi, costituiti dai prestiti bancari al netto delle sofferenze, vale a dire al netto di quel credito non restituito dalle imprese per via di una crisi finanziaria in corso. Tale calo aumenta a Messina, dove si calcola una riduzione dell’8,8%, e una perdita di 63,70 milioni di euro, seguita da Ragusa, a -7,8%, e 50 milioni di euro in meno. Sulla media regionale si attestano Agrigento, Caltanissetta, Catania e Enna, tra -7,6% e -7,4%. Siracusa perde il 7% del totale, con quasi 31 milioni di euro in meno; quindi Trapani a -6,9% e Palermo, al -6,7%. In termini assoluti, invece, la perdita maggiore si registra a Catania, dove il credito scende di 95 milioni di euro, mentre a Palermo la perdita ammonta a 80 milioni di euro.

Secondo la Cgia sono almeno tre le cause della stretta creditizia

Secondo la Cgia, le cause di questa stretta creditizia sono almeno tre e molto legate tra loro. Da una parte, l’aumento dei tassi di interesse imposto dalla Banca centrale europea, cosa che ha reso molto costoso indebitarsi in quest’ultimo anno. Pertanto, molte imprese, soprattutto di media o grande dimensione, hanno preferito ricorrere forme di autofinanziamento. Inoltre, il calo dei volumi di credito è correlato anche alla frenata del Pil nazionale, che ha provocato una flessione della domanda di prestiti. In ultimo, le banche hanno meno liquidità a disposizione, perché devono restituire alla Bce i fondi Tltro2, il programma con cui la Bce negli anni scorsi ha finanziato a basso costo le banche, vincolando queste ultime a erogare le risorse all’economia reale. Le banche dovranno restituire altri 174 miliardi di euro entro settembre 2024, e in contemporanea la raccolta è diminuita. La combinazione di questi fenomeni ha spinto molti istituti a “sacrificare” il credito più complicato, ovvero quello da erogare alle piccolissime imprese che, tendenzialmente, presenta costi di istruttoria relativamente più elevati e una gestione amministrativa molto laboriosa. Si tratta di una condizione estremamente preoccupante con effetti importanti sulla tenuta delle imprese sul mercato.

“Senza liquidità una impresa, soprattutto piccola – dicono dalla Cgia – non può fare investimenti, spesso è costretta a ritardare i pagamenti ai fornitori e nei casi più critici inizia a non versare con regolarità gli stipendi ai propri dipendenti”. Per evitare che tutto questo provochi una chiusura definitiva dell’attività o, peggio ancora, come teme la Cgia, “che i titolari scivolino nella rete tesa dalle organizzazioni criminali che, in questi momenti, sono sempre disponibili a prestare soldi ad aziende in difficoltà”, è necessario che il governo intervenga subito, rifinanziando il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese che era stato potenziato nel periodo del Covid. Grazie a questo strumento rivisitato, molti istituti di credito si troverebbero nelle condizioni di prestare i soldi senza correre alcun rischio di veder aumentare a dismisura le insolvenze. Tra marzo 2020 e giugno 2022, per sostenere le pmi colpite dall’emergenza pandemica, il Fondo di garanzia ha garantito oltre 256,8 miliardi di euro di prestiti.