In Italia Pil a rilento ma acquisto di armamenti è arrivato al 132%, siamo su strada pericolosa - QdS

In Italia Pil a rilento ma acquisto di armamenti è arrivato al 132%, siamo su strada pericolosa

redazione

In Italia Pil a rilento ma acquisto di armamenti è arrivato al 132%, siamo su strada pericolosa

Mario Pianta  |
venerdì 03 Novembre 2023

La manovra? Non avrà effetti di rilancio dell’economia, né ridurrà le disuguaglianze. Ci sono invece i soldi per le armi

Mario Pianta è professore alla Scuola Normale Superiore a Firenze e presidente della Società italiana di economia. Il nuovo libro che ha curato, “L’inflazione in Italia: cause, conseguenze, politiche” (Carocci) è in questi giorni in libreria. È un buon punto di partenza per esaminare la situazione dell’economia.

Il Quotidiano di Sicilia lo ha intervistato per approfondire i temi che più impattano nella vita dei cittadini.

L’inflazione sta ora rallentando, ma ha colpito pesantemente il nostro paese e l’Europa. Che cosa è successo?

“Quest’anno in Italia abbiamo un’inflazione al 6,1%, dopo l’8,7% dell’anno scorso. L’aumento dei prezzi dell’energia, aggravatosi con l’inizio della guerra in Ucraina, è stato alla radice dell’aumento dei prezzi. Senza politiche di controllo la spinta inflazionistica si è trasmessa a tutta l’economia e ora il motore principale dell’inflazione è l’aumento dei profitti da parte delle imprese che hanno potere di mercato, dagli alimentari ai trasporti, ai servizi. Altri paesi hanno fatto meglio: Francia e Spagna hanno introdotto limiti ai prezzi dell’energia e la loro inflazione nel 2023 è del 5,6 e del 3,5% (dati Fondo monetario). Banca d’Italia prevede la discesa dell’inflazione al 2,4% nel 2024 e all’1,9% nel 2025, addirittura più in fretta della media europea ma è difficile che questa riduzione sia confermata”.

Dopo l’Ucraina, il conflitto in Medio Oriente: potrebbe avere conseguenze sull’energia e sull’inflazione?

“Con la guerra in Ucraina il prezzo del gas è andato alle stelle. All’indomani dell’esplosione del conflitto tra Hamas e Israele i prezzi sono saliti del 20% per il gas e del 5% per il petrolio. Se il gas resta lontano dai picchi passati, tra luglio e settembre i prezzi del petrolio erano già saliti da 70 a oltre 90 dollari il barile, tornando vicini ai 110 dollari dell’inizio della guerra in Ucraina. Pur con riserve energetiche elevate, i conflitti internazionali possono spingere in alto i prezzi dell’energia. Il problema è che l’Europa e l’Italia non si sono attrezzate. La guerra in Ucraina ha spinto a diversificare gli acquisti di gas, evitando la Russia, ma l’Europa non ha sviluppato l’uso di energia solare ed eolica, non ha riformato la logica speculativa dei mercati energetici (le scommesse sui futures contano di più degli approvvigionamenti effettivi), non ha limitato i super profitti e il potere delle grandi imprese petrolifere (la Exxon sta comprando per 60 miliardi di dollari la Pioneer), non ha introdotto controlli dei prezzi per evitare la diffusione dell’inflazione al resto dell’economia”.

Quali sono state le conseguenze dell’inflazione?

“Un peggioramento delle condizioni di vita delle persone, soprattutto per i salari dei lavoratori e i redditi dei pensionati: molti hanno perso il 15% del potere d’acquisto nell’ultimo biennio. Le disuguaglianze si sono aggravate e poco hanno fatto i bonus distribuiti dai governi. Gli effetti dell’inflazione si sono sommati a una caduta di lungo periodo: dal 2008 al 2022 i salari reali italiani erano già diminuiti del 10% (dati Ilo) e diventa così centrale la questione di come tutelarli attraverso consistenti rinnovi contrattuali e nuove forme di indicizzazione”.

Come hanno risposto le politiche economiche?

“La reazione principale è venuta dalla Banca centrale europea che, in un anno, ha portato i tassi di interesse dallo zero al 4% con effetti pesanti sulle imprese che chiedono prestiti per gli investimenti e per le famiglie che devono pagare un mutuo. Lo stesso vale per i conti pubblici perché il governo deve pagare tassi d’interesse più elevati sul debito pubblico, limitando la possibilità di spesa pubblica per obiettivi sociali. Questa scelta porta a un rallentamento dell’economia, ora le prospettive del Pil dei paesi dell’euro si muovono ora tutte sul filo dello zero. Per la produzione industriale italiana la crisi è già arrivata: quest’estate era sotto di 5 punti percentuali rispetto a prima della guerra in Ucraina (dati Istat). Una caduta di domanda è tanto più grave quanto più urgenti sono le trasformazioni produttive necessarie per ridurre l’intensità energetica e gli effetti sul cambiamento climatico. Di fronte all’inflazione in Italia, i governi di Mario Draghi e Giorgia Meloni si sono concentrati su misure di compensazione degli aumenti dei prezzi, con riduzioni della tassazione dei beni energetici, sostegni alle imprese e bonus per le famiglie, soprattutto quelle a basso reddito. Misure frammentate, che hanno usato grandi risorse, ma non hanno fermato la spinta all’aumento dei prezzi delle imprese, né evitato la caduta dei redditi reali delle persone. Sono stati più efficaci gli interventi di altri paesi europei che hanno bloccato i prezzi dell’energia o nazionalizzato le imprese energetiche. Per tutelare i salari servono innanzitutto puntuali rinnovi contrattuali che consentano un recupero del potere d’acquisto perduto. È utile allargare le misure di indicizzazione e servono politiche di tutela del lavoro e dei redditi, a cominciare dall’introduzione di un salario minimo indicizzato all’inflazione”.

Che cosa fa ora la manovra di bilancio varata dal Governo?

“Gli interventi della manovra sono di corto respiro, non c’è una strategia per tutelare i redditi reali di fronte all’inflazione. Il rifiuto di affrontare la questione del salario minimo è un altro segnale di disattenzione di fronte all’impoverimento dei lavoratori a basso reddito. Le risorse di bilancio vanno soprattutto al cuneo fiscale, che riduce i costi alle imprese e offre modestissimi aumenti dei salari nominali: sussidi pubblici rimpiazzano la scarsa capacità delle imprese di far crescere la produttività. Le piccole riforme del fisco che sono introdotte favoriscono i lavoratori autonomi, la rendita immobiliare, riducono la progressività dell’imposizione e le entrate pubbliche, strizzano l’occhio all’evasione fiscale. Il risultato sono più ingiustizie e meno risorse per assunzioni e stipendi pubblici, la sanità pubblica è allo stremo, i margini per misure redistributive sono stretti. Non ci sono interventi strutturali sul modello di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale. La manovra non avrà effetti di rilancio dell’economia, né potrà ridurre le disuguaglianze, aumentate con pandemia e inflazione. Ci sono invece i soldi per le armi. Nel decennio 2013-2023 l’aumento in termini reali della spesa militare (dati Nato) è stato in Italia del 26% e quello dell’acquisto di armamenti è stato del 132%, quando il Pil italiano è aumentato nel complesso di appena l’8%. Siamo su una strada pericolosa”.

Mario Pianta
Professore di Politica economica alla Scuola Normale Superiore di Firenze e presidente della Società italiana di economia

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