Cronaca

Andrea Bonafede, l’ordinanza che “incastra” l’affiliato riservato di Messina Denaro

“La figura di Bonafede appare riconducibile a quella dell’affiliato “riservato” al servizio diretto del capo mafia”, scrive il gip Montalto. “Andrea Bonafede ha contribuito a far sì che Matteo Messina Denaro potesse continuare a svolgere le proprie funzioni direttive nonché a protrarre la propria condizione di latitante nonostante l’insorgere di una grave patologia oncologica“, continua.

Questo si legge nell’Ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Alfredo Montalto il 23 gennaio scorso a carico di Bonafede, ritenuto fiancheggiatore e “prestanome” del boss Matteo Messina Denaro.

Scattano dunque le manette nei confronti di Andrea Bonafede, quello vero, dopo l’arresto dello scorso 16 gennaio del latitante Matteo Messina Denaro trovato, tra l’altro, in possesso di una carta d’identità e di una tessera sanitaria intestati allo stesso Andrea Bonafede.

Chi è Andrea Bonafede e che rapporti ha con Messina Denaro

Bonafede è indagato, si legge sempre nell’OCC, di aver permesso a Matteo Messina Denaro “di acquisire l’identità di Bonafede, a tal fine cedendogli la propria carta di identità n. Ax:2526820, sulla quale veniva apposta la fotografia di Messina Denaro, così permettendo in particolare al latitante di muoversi sul territorio eludendo i controlli delle forze dell’ordine nonché di accedere alle cure del Sistema sanitario nazionale senza disvelare la propria reale identità; di ottenere la disponibilità della abitazione sita in Campobello di Mazara, via CB n. 31, che Bonafede acquistava in data 15 giugno 2022 e cedeva a Matteo Messina Denaro affinché egli potesse dimorarvi con continuità per almeno sei mesi; di acquistare, in data 1° gennaio 2022 l’autovettura Alfa Romeo Giulietta targata GA 785 KL utilizzando i documenti forniti da Andrea Bonafede, così da poter disporre di un mezzo autonomo di locomozione da utilizzare per i propri spostamenti riducendo il rischio di destare sospetti in occasione di controlli stradali; di ottenere la disponibilità di almeno due autovetture (una Fiat 500 Lounge tg. FW089LV e una Alfa Romeo Giulietta targata GA785KL) che Messina Denaro acquistava utilizzando la carta di identità fornitagli da Bonafede nonché la carta di identità n. AYS137259 di Giuseppa Cicio, anziana madre di Bonafede medesimo”.

La richiesta di custodia cautelare, avanzata dai pm Maurizio De Lucia, Paolo Guido e Pierangelo Padova,
“delinea, a parere di questo giudice per le indagini preliminari, un quadro indiziario a carico dell’indagato di estrema gravità e, comunque, sicuramente idoneo a integrare le condizioni di applicabilità della chiesta misura cautelare personale”, scrive il gip nell’ordinanza. E scrive anche che “risulta inconfutabilmente accertato, innanzitutto, l’utilizzo da parte del latitante Messina Denaro Matteo dell’identità di Bonafede, il quale, a tal fine, gli ha fornito, direttamente o indirettamente, la propria carta di identità (sulla quale il Messina Denaro ha apposto la propria effige fotografica), la tessera sanitaria (e, quindi, anche il codice fiscale), l’immobile nel quale abitare e le autovetture necessarie per gli spostamenti senza esporsi al rischio di essere individuato dalle forze di polizia da molti anni impegnate nella sua ricerca”.

I rapporti con Cosa nostra e la mafia siciliana

Il gip Montalto precisa che “la condotta ricostruita sinora a carico di Bonafede Andrea si caratterizza, indubbiamente, per collocarsi al limite tra le figure giuridiche della partecipazione all’associazione mafiosa ‘Cosa nostra‘, del concorso esterno alla stessa e del favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena aggravati ai sensi dell’art. 416 bisl c.p. Questo giudice, ritiene, tuttavia, che, allo stato, sia pure nei limiti della probatio minor che è propria della fase cautelare, possa condividersi la conclusione del Pubblico Ministero riguardo alla configurazione, in termini di gravità indiziaria, del reato di partecipazione di Bonafede Andrea all’associazione mafiosa facente capo a Messina Denaro Matteo” e che “la difesa minimizzatrice tentata dal Bonafede allorché è stato sentito subito dopo l’arresto di Messina Denaro (v. verbale in atti del 16 gennaio 2023) è stata già documentalmente – e, quindi, inconfutabilmente – smentita dagli accertamenti investigativi che l’hanno seguita”.

Il gip evidenzia inoltre che “la medesima tesi minimizzatrice di Bonafede contrasta, all’evidenza, con le regole d’esperienza e con la logica, così derivandone la sua inverosimiglianza. Non è, infatti, di certo minimamente credibile che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia, che pure, come dimostrato dalle innumerevoli indagini di questi anni finalizzate alla sua cattura ha potuto sempre disporre di un’attentissima e ampia cerchia di soggetti che gli hanno consentito di proseguire la sua latitanza e nel contempo le sua attività di direzione dell’associazione mafiosa ‘Cosa nostra’ quanto meno nell’intera provincia di Trapani, si sia ad un certo momento affidato a un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie (con conseguente elevato rischio di essere individuato come in effetti è poi avvenuto il 16 gennaio 2023), oltre che per acquistare l’immobile ove per un periodo di almeno sei mesi e fino all’arresto ha poi dimorato”.

Il covo (non) segreto per Bonafede

Il gip Montalto rimarca che “l’esperienza dell’arresto di tutti i più importanti latitanti di ‘Cosa nostra’, peraltro, insegna che i soggetti di vertice di tale organizzazione, per evidenti ragioni di sicurezza personale, tendono a escludere dalla conoscenza del covo dove da latitanti si rifugiano persino la gran parte degli associati mafiosi, limitando, piuttosto, tale conoscenza a una cerchia più ristretta e più fedele di co-associati. Ciò, ad esempio, è avvenuto per Riina (il cui covo era ignorato persino da Provenzano), per lo stesso Provenzano, per i fratelli Brusca, per i fratelli Graviano e per Bagarella. In tutti questi casi il ‘covo’, sino al momento dell’arresto di chi l’occupava, è stato conosciuto soltanto da pochissimi soggetti, tutti, comunque, formalmente o di fatto, affiliati all’organizzazione mafiosa per l’ulteriore sicurezza che deriva dal vincolo associativo e dalle note conseguenze per chi lo viola. Già sotto questo profilo e per il ruolo di eccezionale rilevanza sia fattuale che simbolica ricoperto da Messina Denaro nell’ambito dell’associazione mafiosa la figura del Bonafede appare, dunque, piuttosto riconducibile a quella dell’affiliato ‘riservato’ al servizio diretto del capo mafia”.

“Sussistono, nel caso in esame, a parere di questo giudice, specifiche e concrete esigenze cautelari ai sensi dell’art. 274 c.p.p. (…) Si è in presenza, in sostanza, sia pure, si ripete, in termini di gravità indiziaria che rilevano nella presente fase cautelare, di un’affiliazione verosimilmente riservata di Bonafede per volontà del Messina Denaro quanto meno per facta concludentia, non essendo, d’altra parte, come è noto, sempre necessaria una manifestazione formale o rituale dell’affiliazione medesima (cfr., sul punto, tra le tante, Cass. Sez. Un. 12 luglio 2005 n. 33748)”, scrive in chiusura il gip Montalto, che “ordina agli ufficiali e agli agenti della polizia giudiziaria di procedere alla cattura di: Andrea Bonafede, nato a Campobello di Mazara (TP) il 23 ottobre 1964, e di condurre immediatamente il medesimo in un istituto di custodia con le modalità dettate dall’art. 285 comma 2 c.p.p., per ivi rimanere a disposizione di questo ufficio”.