Inchiesta

Appalti, a un anno dalla riforma del Codice minori garanzie di trasparenza e concorrenza

L’estate che stiamo vivendo coincide anche con il primo anno di vita del nuovo codice degli appalti voluto, a gran voce, dal governo Meloni. Un approdo a cui si è arrivati in seguito al convincimento che, in materia di lavori pubblici, le croniche lentezze del sistema Italia siano legate alle fasi di individuazione dell’operatore economico a cui affidare l’esecuzione delle opere e delle forniture. L’idea su cui è poggiato l’intero impianto della riforma in materia di contratti è stata quella per cui, sbrigata la pratica dell’aggiudicazione, tutto il resto sarebbe stato in discesa.

Stanti così le cose, il governo Meloni, ricevuta la delega dal Parlamento, ha prodotto un codice dei contratti all’insegna delle deroghe a quelli che in precedenza erano stati i paletti a salvaguardia della concorrenza e, stando ai più critici, della trasparenza degli affidamenti. Fulcro centrale di questa nuova cornice normativa è stata la decisione di consentire alle stazioni appaltanti di optare per le gare a inviti per lavori di importo inferiore o pari alla soglia comunitaria di circa cinque milioni.

Con il nuovo Codice appalti gare aperte inferiori rispetto al passato

Ciò ha fatto sì che in quest’ultimo anno le procedure di gara aperte – ovvero quelle in cui tutte le imprese interessate alla realizzazione di un’opera hanno la possibilità di presentare un’offerta, che verrà valutata tenendo conto o soltanto del ribasso economico oppure anche delle migliorie tecniche al progetto – siano state inferiori rispetto al passato.

Guardando però a ciò che accade fuori dagli uffici in cui le buste vengono aperte e le gare aggiudicate, verrebbe da dire che non sembra poi cambiato molto. In Sicilia, per esempio, i cantieri continuano a procedere a rilento, a riprova di come le variabili che possono determinare l’andamento di un appalto siano molteplici. La notizia non è certo delle migliori considerato che il 2026, l’anno cruciale per la conclusione delle opere finanziate con le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), non è poi così lontano.

Il parere dell’Anac sul nuovo codice degli appalti

Nelle scorse settimane a esprimersi su cosa è stato di questi primi dodici mesi del decreto legislativo 36/2023 è stata anche l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac). L’organismo guidato da Giuseppe Busia ha raccolto in una quarantina di voci le criticità finora riscontrate, proponendo nella maggior parte dei casi al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e alla cabina di regia per il codice dei contratti pubblici delle modifiche da apportare per dirimere dubbi interpretativi e possibili controversie.

Tra i rilievi sollevati c’è quella riguardante il comma 2 dell’articolo 10 che, prevedendo la tassatività delle cause di esclusione dalle gare per le imprese che contravvengono quanto previsto agli articoli 94 e 95 dello stesso codice, dispone la nullità di ogni altri tipo di clausola che comprenda ulteriori cause di esclusione.

L’Anac a riguardo ha fatto notare come esistano altri testi normativi diversi dal codice degli appalti la cui efficacia non può essere messa in dubbio: “Il riferimento – si legge nel documento inviato al ministero guidato da Matteo Salvini – è, in particolare, alle cause di esclusione relative alla mancata iscrizione nelle white list, alla violazione della normativa in tema di pantouflage (porte girevoli, ndr), alla mancata accettazione dei patti-protocolli di legalità, alla mancata presentazione della copia dell’ultimo rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile nel caso di appalti riservati ex art. 61 del codice o di gare finanziate con fondi Pnrr”.

L’autorità presieduta da Busia ha posto l’attenzione pure su un altro fenomeno: il rischio di eccessivo frazionamento degli appalti. “Stante l’ampia possibilità di ricorso all’affidamento diretto e alla procedura negoziata senza bando, le stazioni appaltanti potrebbero essere indotte, al fine di ottenere la massima semplificazione delle procedure, ad un eccessivo frazionamento degli appalti, in modo da far rientrare l’affidamento occorrente entro la soglia prescritta per il ricorso alle procedure semplificate”, viene fatto notare.

All’osservazione segue anche un esempio concreto: “Potrebbe accadere che appalti pluriennali, anziché essere affidati mediante le procedure ordinarie, vengano invece affidati annualmente, in modo da rimanere al di sotto della soglia prevista per l’affidamento diretto o per la procedura negoziata senza bando ed evitare, così, di assoggettarsi al principio della gara pubblica”.

In questi anni le gare a inviti, che prevedono un numero esiguo di partecipanti, quasi mai superiore alla quindicina, sono finite più volte nel mirino perché potenzialmente più soggette a tentativi di turbative e più permeabili alla corruzione. Sulla carta, infatti, la lista delle imprese invitate dovrebbe rimanere segreta fino all’apertura delle buste ma così in più di una circostanza non è stato dando l’opportunità di pilotare le gare d’appalto, così come emerso in diverse inchieste giudiziarie condotte anche in Sicilia. Tuttavia, finora, tali allarmi hanno ceduto il passo agli slogan riguardanti la necessità di velocizzare la realizzazione delle opere e quel “principio di risultato” che rappresenta uno dei pilastri del nuovo codice. Per capire però la reale bontà di questo risultato sembra ancora presto.

Nell’Isola il 6,7% delle stazioni “qualificate” a livello nazionale

Duecento amministrazioni per la categoria dei lavori, e 208 per quella dei servizi. Sono i numeri che descrivono lo stato dell’arte in Sicilia per quello che riguarda la qualificazione obbligatoria presso Anac degli enti che gestiscono le gare d’appalto. L’obbligo è stato introdotto con il nuovo codice dei contratti e punta ad aumentare il livello di monitoraggio dei soggetti chiamati a gestire l’affidamento di opere e prestazioni del valore di decine di milioni di euro. L’Autorità nazionale anticorruzione ha pubblicato nelle settimane scorse una relazione che fotografa la situazione nell’intero Paese, consentendo anche di confrontare la risposta delle singole regioni rispetto alle nuove prescrizioni.

Parlando di lavori, le duecento amministrazioni pubbliche che hanno portato a completamento il processo di qualificazione si dividono tra 186 stazioni appaltanti e 14 centrali uniche di committenza, ovvero soggetti che aggregano più amministrazioni. Numeri che, confrontati con il dato complessivo nazionale, dicono che nell’isola ci sono attualmente il 6,7 per cento delle stazioni appaltanti qualificate e il 2,8 delle centrali uniche di committenza.

Spostando lo sguardo sulla categoria dei servizi, sono 191 le stazioni appaltanti e 17 le centrali uniche di committenza, per un totale regionale di 208 amministrazioni. A livello percentuale, rispetto al totale nazionale, si tratta del 5,3 per quanto riguarda le stazioni appaltanti e del 3,5 per le centrali uniche di committenza.

Il nuovo codice degli appalti, nella parte riguardante la necessità di qualificazione, ha specificato che alcuni soggetti – come il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, i Provvedditoriati interregionali per le opere pubbliche, Consip, Invitalia, Difesa Servizi, Agenzia del Demanio – sono qualificati di diritto.

“Al 30 giugno 2024 – si legge nel report di Anac – il totale delle amministrazioni qualificate si è attestato a 4.541 unità, con una variazione percentuale rispetto al trimestre precedente pari al 6 per cento”. Guardando alla tipologia di prestazione emerge che nel Paese “il totale delle amministrazioni qualificate per il settore dei lavori si attesta a 3.258 unità”, di cui 425 solo per lavori, “mentre il totale delle amministrazioni qualificate per il settore dei servizi e forniture si attesta a 4.116 unità”, di cui 1.283 solo per servizi e forniture. A livello nazionale sono invece 2.833 le amministrazioni qualificate per entrambe le categorie.

Concentrandosi sulle centrali uniche di committenza, i dati in possesso di Anac dicono che a livello nazionale il 30 per cento di esse raggruppa al massimo tre amministrazioni, mentre il restante 70 ne ha di più. “È stato calcolato che mediamente ogni centrale unica di committenza – si legge nel report dell’Autorità antocorruzione – ha 13 amministrazioni convenzionate”.

Ance: “Per gli affidamenti sopra 2-3 milioni ripristinare le procedure aperte”

A esprimersi sul nuovo codice degli appalti, di recente, sono stati anche l’Associazione nazionale costruttori edili e il Consiglio nazionale degli ingegneri. Per Ance ha parlato la presidente Federica Brancaccio che, nel corso di un’audizione in commissione alla Camera, ha sottolineato la necessità di rivedere le regole, valutando la possibilità di reintrodurre le gare aperte quando in ballo ci sono determinati importi.

“L’impostazione generale del codice, ispirata alla logica del fare bene e fare presto, appare senz’altro condivisibile. Ma è necessario fare di più – ha detto Brancaccio –. Per gli affidamenti sopra la soglia dei due-tre milioni di euro, è fondamentale ripristinare l’obbligo di procedure aperte e concorrenziali”. Per la presidente nazionale dei costruttori “è necessario trovare una soluzione in grado di coniugare risultato e concorrenza, efficacia del processo e apertura del mercato a tutte le imprese in grado di competere”, anche perché il principio del risultato, secondo cui l’opera pubblica deve essere aggiudicata a chi è in grado di assicurare il miglior rapporto qualità-prezzo, “mal si concilia con l’avvenuta eliminazione del tetto massimo al punteggio da attribuire al prezzo in sede di offerta economicamente più vantaggiosa. Così facendo – ha avvertito Brancaccio – si finisce per reintrodurre, di fatto, il massimo ribasso che Ance ha sempre fortemente combattuto, perché impedisce la presentazione di offerte serie e ponderate, dando luogo a spirali ribassiste che, da tempo, hanno dimostrato di non essere funzionali a una esecuzione a regola d’arte dei lavori”.

Il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, Angelo Domenico Perrini, ha rimarcato l’importanza di andare in una direzione di apertura del mercato. “Sono da apprezzare le proposte mirate ad ampliare la concorrenza, i meccanismi di trasparenza e limitare l’eccessivo utilizzo dell’appalto integrato – ha dichiarato –. Grande attenzione anche per la richiesta di chiarezza sull’applicazione della revisione prezzi e sulla limitazione dell’applicazione del subappalto a cascata, che introduce nei cantieri notevoli fattori di rischio e confusione nella individuazione delle responsabilità”. Perrini si è poi soffermato sulla questione del pagamento delle prestazioni rese dai professionisti.

“I tecnici – ha continuato – hanno posto l’attenzione sulle tematiche maggiormente inerenti gli aspetti professionali. È stata sottolineata l’importanza di applicare correttamente il principio dell’equo compenso ai pubblici affidamenti, a garanzia della qualità del progetto e, unitamente agli affidamenti diretti, primo strumento per consentire ai giovani laureati una possibilità di accesso al settore delle opere pubbliche, evitando di dover ricorrere a ribassi insostenibili per contrastare la carenza curricolare”.