L’arresto di Matteo Messina Denaro, operato dai carabinieri del Ros lo scorso 16 gennaio, è stato inutile? È la domanda che dopo la notizia del decesso dell’ex superlatitante si pone la gente comune a scuola, a lavoro, in TV e forse perfino nelle aule di giustizia. In fondo, il boss è morto e non ha parlato. Non si è mai pentito e i suoi segreti, che poi sono quelli di Cosa nostra, finiranno nella tomba con lui; non c’è modo di recuperarli, se non attraverso l’auspicabile ma difficile ritrovamento di nuovi pizzini e scritti. E allora è stato tutto un “flop”? No e il perché lo spiega l’uomo che ha coordinato le indagini che hanno portato all’arresto del boss stragista, il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia.
“Questa è una storia in cui è stato messo un punto, ma non c’è ancora la parola fine“. Queste parole, scritte nero su bianco da De Lucia – assieme al giornalista Salvo Palazzolo – a conclusione del libro “La cattura”, spiegano come l’importanza dell’arresto di Messina Denaro non stia tanto nel singolo episodio o nelle dichiarazioni rese nel corso degli interrogatori quanto nelle sue conseguenze in termini di lotta contro Cosa nostra e conoscenza della criminalità organizzata.
Le domande sul futuro di Cosa nostra dopo la morte del boss di Castelvetrano si moltiplicano in queste ore. La fine di Messina Denaro è arrivata, quella della mafia siciliana no. Anzi, Cosa nostra è ancora in un momento molto “dinamico” della sua storia, in cui a fare la ricchezza dell’organizzazione criminale non sono più rapimenti e omicidi ma estorsioni, infiltrazioni, business vari e connivenza.
C’è però un dato da considerare: Cosa nostra, in questo momento, non ha un capo. Il vertice non era certo Messina Denaro (il capo della mafia siciliana, infatti, può essere solo palermitano), ma il boss di Castelvetrano rappresentava comunque – nelle parole del procuratore De Lucia – “un punto di riferimento per via del suo carisma, della sua storia e dei suoi rapporti”. E rappresentava anche quella stagione post-stragista che ha trasformato Cosa nostra da “fabbrica di stragi” ad “agenzia di servizi”, attiva in business di ogni tipo, dall’edilizia al traffico di droga.
“L’arresto del boss non è la fine della mafia”, dice chiaramente il procuratore di Palermo. L’arresto, però, è servito e per più ragioni: ha permesso di conoscere molto dell’evoluzione di Cosa nostra, della mentalità del mafioso, ma anche di saldare un antico “debito” nei confronti delle vittime di mafia. E soprattutto: ha dimostrato che lo Stato c’è e che non si arrende, nonostante i ritardi, gli ostacoli, le piste rivelatasi infondate nel tempo.
Dopo l’arresto e la morte di Messina Denaro, la lotta alla mafia non si fermerà ma dovrà essere combattuta su un piano “diverso”, perché Cosa nostra – seppur intrinsecamente uguale – è diversa.
“Questo è il momento dei controlli preventivi, delle indagini, di una grande mobilitazione collettiva che veda in prima linea anche gli imprenditori e la società civile nelle sue varie articolazioni. Solo così potremo rispondere alla nuova aggressione delle mafie. Con una sostanziale differenza rispetto al passato: oggi non possono essere compiuti errori di valutazione. Perché il bagaglio enorme di conoscenze acquisite ci consente di seguire l’evoluzione del fenomeno, la prospettiva e i componenti che a mano a mano ne fanno parte”, commenta De Lucia nel libro “La cattura”.
L’arresto di Messina Denaro, quindi, non è stato inutile. Al contrario, ha aperto una nuova stagione della vita di Cosa nostra e della lotta alla mafia siciliana e ha dimostrato che il mondo della legalità può e desidera essere più forte della criminalità organizzata.