PALERMO – In Sicilia la spesa per la Sanità si aggira sui 9 miliardi l’anno, una cifra ragguardevole che però, a volte, non riesce comunque a garantire l’efficacia, l’appropriatezza, la sicurezza e l’equità di accesso alle cure. C’è bisogno di maggiori risorse e/o le risorse in campo andrebbero spese meglio evitando le sacche di spreco? Quali sono le criticità principali che portano alcuni pazienti siciliani a rivolgersi alla sanità privata o a doversi curare in altre regioni? Il Qds ha posto tali quesiti all’assessore alla salute della regione siciliana, Giovanna Volo.
“La criticità che in atto il sistema sconta – afferma l’assessore – è esclusivamente di natura organizzativa, in quanto la carenza di dirigenti medici è una emergenza a livello nazionale; nonostante le iniziative assunte dall’Assessorato le risultanze non sono allo stato pienamente soddisfacenti. Nessun deficit tecnologico e/o di risorse è in atto ascrivibile al sistema che, al contrario, investe sempre nuove risorse per aggiornare ed ammodernare la strumentazione in disponibilità alle strutture pubbliche”.
Il quesito, posto all’assessore in occasione dell’inchiesta del Qds sulla sanità pubblicata l’8 novembre scorso, nasce dalle conclusioni cui è giunto il Rapporto sulla Qualità degli Outcome clinici negli Ospedali italiani, elaborato a quattro mani da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e Aiop (Associazione italiana ospedalità privata).
Le strutture sanitarie di diritto pubblico del Meridione con livello di qualità alto o molto alto, in percentuale, infatti, inseguono sempre il Nord del Paese (escluso un pareggio). Il dato emerge tra le pagine dell’analisi nazionale che si propone una comparazione tra strutture ospedaliere in funzione della natura giuridica delle stesse.
Rispetto all’area del sistema cardiocircolatorio, in Sicilia la proporzione di strutture di qualità bassa/molto bassa è il 53% delle pubbliche e l’11% delle accreditate, mentre sono, rispettivamente, il 42% e il 78% quelle che presentano un livello di conformità alto o molto alto rispetto allo standard.
Abbiamo chiesto a Giovanna Volo come si spiega questo deficit nel settore pubblico e come andrebbe colmato. “L’assetto delle unità operative di cardiologia è pari a 64 strutture di cui 46 pubbliche e 18 private, a queste si aggiungono le 45 unità di terapia intensiva cardiologiche (U.T.I.C.) di cui 41 pubbliche e 4 private. Inoltre la rete dell’I.M.A. ha a disposizione 21 strutture di emodinamica ubicate in presidi ospedalieri pubblici distribuite su tutto il territorio regionale” esordisce l’assessore.
“Tale offerta sanitaria – prosegue – permette una risposta terapeutica sia in emergenza che in elezione che soddisfa le esigenze di salute di tutti i cittadini, mettendo altresì a disposizione aree di eccellenza sia sul bacino occidentale che orientale della regione per quanto riguarda la cardiologia interventistica. Avuto riguardo, pertanto, all’assetto sopra delineato, la maggior parte delle patologie cardiache trattate in emergenza/urgenza vengono erogate dalle strutture pubbliche; tale attività assorbe la maggior parte delle risorse tecnologiche ed organizzative dedicate, al contrario delle prestazioni che vengono erogate in elezione quindi con tempi di risposta e di valutazione assolutamente differenti”.
L’assessore conclude dichiarando che: “L’asset fin qui rappresentato, anche alla luce delle eccellenze presenti sul territorio non giustifica i cosiddetti ‘viaggi della speranza’ intrapresi da alcuni pazienti; a tale riguardo non appare superfluo evidenziare la presenza di molteplici strutture ambulatoriali accreditate distribuite ubiquitariamente in tutte le Provincie, che erogano giornalmente prestazioni di cardiologia”.