Inchiesta

Balneari, l’inutile proroga del Governo rischia di ostacolare i Comuni virtuosi

ROMA – “Sed fugit interea fugit irreparabile tempus”, scriveva Virgilio nelle sue Georgiche. Sembra questo l’incipit ideale per affrontare, ancora una volta, il goffo tentativo messo in atto dal Governo italiano per non ottemperare a una direttiva europea, la Bolkestein. Nel corso del 93° Consiglio dei Ministri, lo scorso 4 settembre, è stato approvato un decreto-legge che introduce “disposizioni urgenti per la soluzione di procedure d’infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”.

Ovviamente ci si sarebbe aspettato un decreto che risolvesse le problematiche che hanno costretto l’Europa a emettere tali procedure d’infrazione ma in realtà non è stato così perché, si legge sul sito della presidenza del Consiglio, il decreto-legge, che però – va detto – ancora deve essere firmato dal Presidente della Repubblica, “consentirà di agevolare la chiusura di 16 casi di infrazione e di un caso EU Pilot. In almeno sei casi, le norme introdotte sono in grado di condurre all’immediata archiviazione, nel rispetto dei tempi tecnici della Commissione europea” mentre “in altri 11 casi, le norme adottate dal Governo costituiscono una premessa essenziale per giungere in tempi rapidi all’archiviazione. Complessivamente, pertanto, l’approvazione del provvedimento di oggi permetterà all’Italia una significativa riduzione del numero di procedure di infrazione pendenti che consentirà di raggiungere il numero minimo storico di procedure pendenti e allinearsi alla media europea”.

Concessioni balneari, la partita con l’Europa non è chiusa

Tra le procedure interessate dal decreto rivestono particolare rilevanza le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive, quelle concessioni e la soluzione proposta dall’esecutivo sembra aver lasciato l’amaro in bocca a tutti, compresi gli attuali concessionari che, ovviamente, aspettavano una decisione che portasse il limite alle calende greche, dopo la precedente decisione di rinviare il problema all fine del 2033. Ma, mentre sul sito della presidenza del Consiglio si legge che “con particolare riferimento alla procedura d’infrazione sulle concessioni balneari, la collaborazione tra Roma e Bruxelles ha consentito di trovare un punto di equilibrio tra la necessità di aprire il mercato delle concessioni e l’opportunità di tutelare le legittime aspettative degli attuali concessionari, permettendo di concludere un’annosa e complessa questione di particolare rilievo per la nostra Nazione”, la partita con l’Europa non è chiusa, le procedure d’infrazione non si sono dissolte come neve al sole e la scelta unilaterale dell’Italia è stata letta solo come un impegno a ottemperare quanto non è stato fatto negli ultimi anni.

L’amara realtà è che il Governo nazionale ha, ancora una volta, esposto i singoli Comuni al rischio di trovarsi, come già successo, oggetto di contestazione da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Agcm, e del Tar.

Il Decreto “pezza” modifica la disciplina delle concessioni balneari

Il Decreto “pezza” modifica la disciplina delle concessioni balneari prevedendone l’estensione della validità di quelle in essere fino alla fine del 2027 con l’obbligo di avviare le gare entro il mese di giugno dello stesso anno con una durata delle nuove concessioni da un minimo di 5 anni e un massimo di 20. Il Decreto prevede inoltre l’assunzione di lavoratori impiegati nella precedente concessione, che ricevevano da tale attività la prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, l’indennizzo per il concessionario uscente a carico del concessionario subentrante e pari al valore dei beni ammortizzabili e non ancora ammortizzati e all’equa remunerazione degli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni. Previsto inoltre l’indennizzo per il concessionario uscente a carico del concessionario subentrante con un valore pari a quello dei beni ammortizzabili e non ancora ammortizzati e all’equa remunerazione degli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni. Ciliegina sulla torta, ma in fondo si tratta di un “contentino” per la categoria, si legge che, “tra i criteri di valutazione delle offerte, sarà considerato anche l’essere stato titolare, nei cinque anni precedenti, di una concessione balneare quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare”.

L’Italia aveva deciso di prorogare fino al 2033 le concessioni balneari in modo automatico, senza i bandi di gara richiesti dalle normative Ue e dalla Commissione. La proposta del governo Meloni sembra operare da soluzione di compromesso, visto che a Bruxelles Johanna Bersnel, portavoce dell’esecutivo comunitario commenta puntalizzando ha dichiarato “accogliamo con favore” il Decreto e che “è stata trovata un’intesa comune con le autorità italiane” sulla questione. Ci si avvicina alla parola ‘fine’ di una vicenda lunga anni, a patto che l’Italia tenga fede alla parola data” riferendosi al rispetto della direttiva Bolkestein. Si tratta, quindi di “un passo importante verso la giusta direzione” ha proseguito Bersnel “di una vera e libera concorrenza nel rispetto della direttiva su servizi del mercato interno” e “auspichiamo di poter chiudere la procedura d’infrazione” a carico dell’Italia, perché questo Decreto non risolve di fatto il problema in quanto “le misure dovranno essere tradotte in pratica” prima di archiviare il contenzioso che si trascina dal 2016. Pertanto, ha concluso Bersnel, “la procedura d’infrazione resterà aperta finché l’Italia non sarà pienamente allineata alle normative europee” e quindi l’Italia resta dunque sotto la lente d’ingrandimento dell’Ue nonostante il goffo tentativo del Governo di accontentare tutti.

Resta, insomma, la sostanza perché le gare devono essere concluse e per farlo occorrerà attendere ancora tempo anche perché il governo si è preso fino al 31 marzo 2025 per emanare il decreto attuativo con i criteri sugli indennizzi e, prima di questo, i Comuni non possono procedere. Ma, per com’è scritta la misura, non si tratta di un rinvio automatico e generalizzato, bensì una facoltà dei sindaci. Ora sarà necessario capire quanti sfideranno il rischio di ricorsi al Tar e diffide dell’Agcm, dato che il Consiglio di Stato aveva imposto il termine tassativo del 31 dicembre 2023. Ma, intanto, “diamo tempo al tempo”.

R.G.

Il “modello Veneto” dove le gare si sono già fatte e non c’è stato l’assalto straniero

“In accordo con i Comuni della costa tra cui Venezia, utilizzando la legge regionale 33 del turismo del Veneto, abbiamo fatto in modo di bandire le gare cercando il rispetto della Bolkestein: chi si aggiudica la concessione, deve riconoscere quello che è stato fatto da chi c’era prima di lui”. Furono queste le parole che pronuncio nel gennaio di quest’anno Luca Zaia, presidente della Regione Veneto in quota Lega. E così è stato ma ora sulle spiagge venete la domanda che oggi si fanno tutti gli operatori e gli addetti ai lavori del settore è: e ora, alla luce del decreto sui balneari, cosa succederà?

Sì perché, proprio nella regione Veneto, sono molti i Comuni in cui le gare si sono già svolte mettendo a bando buona parte delle aree attrezzate sul litorale. Ma, al netto di estemporanee interpretazioni, sindaci e funzionari comunali della costa veneta possono tirare un sospiro di sollievo perché le gare avviate in Veneto sotto l’ombrello della legge regionale 33 possono proseguire regolarmente senza essere annullate o interrotte.

La conferma arriva dalla dichiarazione di Roberta Nesto, sindaca di Cavallino Treporti e coordinatrice della costa veneta di professione avvocato che ha dichiarato che “La recente modifica alla legge 5 agosto 2022, n. 118 conferma il lavoro svolto dai sindaci della costa veneta riguardo al regolamento d’uso del demanio marittimo. Ci sentiamo tranquilli perché nelle gare che sono state promosse dai Comuni del litorale veneto appoggiandosi alla legge regionale 33 si sono applicati precisamente i criteri dettati all’Italia dall’Unione Europea. Questo dimostra la validità del lavoro fatto fino ad ora da tutte le amministrazioni proprio in tema di elaborazione dei criteri”.

Di fatto c’è un’unica variabile di cui le amministrazioni comunali venete dovranno necessariamente tener conto nel portare a buon fine i bandi avviati, quella relativa agli indennizzi degli operatori uscenti che, a chiusura delle gare, dovessero rimanere con un pugno di mosche. Non si tratta di molti casi in Veneto, per il momento, ma il tema è spinoso. Proprio su questa incognita Nesto specifica che si tratta di “un passaggio effettivamente cruciale quello del riconoscimento di un’indennità a favore del concessionario uscente, nel caso in cui non dovesse vincere la gara, per gli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati. Credo che si debba guardare favorevolmente a quest’aspetto che rappresenta un parziale riconoscimento del lavoro svolto dai nostri imprenditori sulle spiagge, tutelando gli investimenti fatti e offrendo un’adeguata compensazione economica. Il dato inoppugnabile è che il testo del governo conferma che le concessioni andranno comunque a gara nel rispetto del diritto dell’Unione Europea, garantendo trasparenza e massima partecipazione, anche per le micro e piccole imprese”.

Intanto i sindaci e gli operatori sottolineano che i giochi non sono ancora chiusi e proprio su questo aspetto viene evidenziata l’opportunità di andare avanti con le gare senza necessariamente adeguarsi alla proroga delle concessioni a settembre 2027. “Il testo – rammenta Nesto – deve ora essere convertito dalle Camere e attendiamo questo passaggio fiduciosi augurandoci che il processo in atto vada avanti senza ulteriori intoppi, confidando che non venga cassato, come accaduto in passato a seguito di interventi della magistratura. Il quadro normativo aggiornato offre maggiore certezza e tempi più ampi per la gestione delle concessioni, rimanendo fermo l’obbligo di procedere con gare pubbliche per l’affidamento futuro”.

Secondo Alessandro Berton, presidente di Unionmare Veneto, “le scelte dei gestori del litorale veneziano sono state lungimiranti e in Regione sono pronti all’arrivo della nuova normativa. I fatti stanno confermando la bontà delle scelte compiute nell’ultimo periodo lungo la costa veneziana”. “Qui siamo già a posto, ci siamo mossi per tempo, scongiurando il paventato arrivo dei grandi gruppi europei – sintetizza l’assessore al turismo della Regione Veneto Federico Caner -. Le gare sono state vinte da aziende del nostro territorio, con esperienza sul campo, e stanno investendo. Siamo già pronti e per noi è una grande soddisfazione”.

Di diverso avviso sembra essere, invece, Franco Zane, presidente del neocostituito Gruppo di Mestiere Imprese Demaniali di Confartigianato Imprese Veneto che ha dichiarato che la proroga fino al 2027 delle concessioni balneari decisa dal governo è “un punto fermo, certo, ma che non giova sicuramente né agli operatori né agli enti territoriali, che hanno un ruolo determinante nella definizione dei bandi e che si ritrovano attualmente senza linee guida”.

In Veneto le concessioni demaniali sono poco più cinquecento

Per capire la dimensione del fenomeno, vale la pena di ricordare che in Veneto le concessioni demaniali sono poco più cinquecento, comprese quelle molto piccole, e le imprese interessate a quelle sulle spiagge circa 250, un centinaio delle quali di medio-piccole dimensioni. In Veneto si passa dal chioschetto in spiaggia al “Camping Marina” di Venezia, che il più grande d’Europa, con strutture societarie che vanno dall’azienda familiare alla più strutturata. La costa orientale, quella che va da Bibione a Cavallino passando per Caorle, Eraclea e Jesolo, ha utilizzato la legge regionale 33 per la quasi totalità tanto che a Jesolo si è registrato del 100% di adesione e gare già state assegnate. Scendendo lungo l’Adriatico le gare bandite sono inferiori, come a Sottomarina, che ne ha fatte solo una parte, o come nel Delta del Po dove tutto sembra procedere lentamente. Al Lido di Venezia, invece, la situazione è divisa fra i grandi players (Excelsior, Blue Moon, Des Bains) che hanno aderito, mentre i piccoli sono rimasti immobili. A livello regionale, oggi si stima che l’80% delle concessioni siano già pienamente in regola con l’Europa.

Molte amministrazioni comunali italiane, non solo in Veneto, hanno già effettuato le gare delle concessioni balneari o si stanno apprestando a farlo nelle prossime settimane, avendo deciso di procedere al termine della stagione in corso. La loro decisione è la conseguenza dell’inerzia del governo Meloni che, implicitamente, in questi mesi ha permesso, mantenendo il silenzio, che questi possano essere sostituiti. Nonostante il demanio sia di competenza statale, la sua gestione è demandata ai Comuni e alle Autorità portuali, che stanno procedendo in ordine sparso con i bandi attenendosi alla legge attualmente in vigore, quella che prevede le gare delle concessioni balneari entro la fine di quest’anno.

Va ricordato che la scadenza delle concessioni balneari era stata fissata al 31 dicembre 2023 a seguito di due sentenze gemelle del Consiglio di Stato in adunanza plenaria, che nel novembre 2021 aveva annullato la proroga al 2033 decisa dal governo Conte uno. Secondo Palazzo Spada, quella proroga era illegittima poiché rappresentava un rinnovo automatico agli stessi titolari di concessioni di un bene pubblico, e pertanto era in contrasto con la direttiva europea Bolkestein e con il Trattato di Lisbona. La pronuncia del Consiglio di Stato è stata annullata due anni dopo dalla Corte di Cassazione per eccesso di giurisdizione, ma nel frattempo i suoi effetti sono stati recepiti dalla legge 118/2022 del governo Draghi, la legge sulla concorrenza 2021. Dunque, la scadenza del 31 dicembre 2023 delle concessioni balneari italiane è oggi fissata non più da una sentenza amministrativa, bensì da una norma approvata dal parlamento a luglio 2022 in via definitiva. La legge 118/2022 ha anche previsto la possibilità di una “proroga tecnica” di un anno, ossia fino al 31 dicembre 2024, “in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa”.
R.G.

Il segretario dei Radicali, Matteo Hallissey

Al QdS interviene il segretario dei Radicali, Matteo Hallissey

ROMA – I Radicali italiani hanno portato ombrelloni e teli da mare in alcuni stabilimenti balneari, e non per concedersi una pausa in spiaggia. Lo hanno fatto anche a piazza Santi apostoli, a Roma. Il movimento, tramite alcuni flash mob di protesta, sta infatti portando avanti una convinta lotta contro la proroga delle concessioni: ne abbiamo parlato con il segretario nazionale Matteo Hallissey.

Negli scorsi giorni avete protestato contro la proroga delle concessioni balneari, ma ancora manca la firma del decreto da parte di Mattarella. Pensate che il presidente debba rifiutarsi di firmare?
“Siamo convinti che il Presidente Mattarella dovrebbe rifiutarsi di firmare, perché è l’ennesima proroga da parte di un Governo italiano. Il Governo Meloni ha continuato a difendere la corporazione dei balneari, ma non è il primo che in questi anni ha messo in atto delle proroghe. Siamo di fronte all’ennesima, che va a danno dei cittadini e contro la direttiva Bolkestein, perché ancora per molti anni non prevederebbe delle gare, fino al 2027 e in alcuni casi, addirittura, fino al 2028. Crediamo, quindi, anzitutto che il Presidente Mattarella dovrebbe rifiutarsi di firmare. In secondo luogo, l’Unione Europea dovrebbe procedere, facendosi sentire rispetto a questo provvedimento e aprendo un procedimento verso l’Italia, perché è inadatto a rispondere all’attuale situazione delle concessioni; tra l’altro sposta tutto il peso delle decisioni verso le amministrazioni, visto che c’è la possibilità di fare le gare anche prima del 2027 su scelta delle amministrazioni locali, che però sono in difficoltà”.

Si rischia il caos istituzionale, considerato che sia il Consiglio di Stato sia la Consulta si sono espresse – più volte – contro le proroghe?
“Assolutamente sì, si rischia anzitutto che anche questi organismi, dal punto di vista della giurisprudenza, continuino a segnalare i problemi che ci sono anche in questa proroga. Il Consiglio di Stato e la Giustizia europea sono stati molto chiari negli scorsi anni di fronte alle tante proroghe: c’è il rischio che si vada avanti in questo modo, con un provvedimento politico che cerca di difendere una corporazione fatta di poche migliaia di persone ai danni dei cittadini. Che invece la giurisprudenza italiana e il diritto europeo vadano nella direzione opposta e che continuino a far notare le contraddizioni. Questa situazione di difficoltà, e anche di incertezza, potrebbe continuare ad esserci e questo provvedimento non può che peggiorare le cose”.

Resta il fatto che i Comuni possono già bandire le gare. Alcuni lo hanno fatto o lo stanno facendo. Si rischia così di bloccare i Comuni più virtuosi?
“Noi crediamo che ci siano alcuni contesti dove le amministrazioni locali hanno avuto il coraggio, la possibilità, l’agibilità per procedere con queste gare già da subito, anche negli scorsi mesi e sono sicuramente dei comuni virtuosi, che sono cioè riusciti a fare già un salto avanti, anche e nonostante le ritrosie da parte del Governo Meloni e dei precedenti. È certo però che per le amministrazioni locali è ancora più difficile decidere di anticipare queste gare – in prima persona – a prima del 2027, perché significa spesso mettersi contro o inimicarsi delle sacche di consenso che soprattutto in comuni non troppo grandi o in alcune dinamiche locali, possono avere un impatto e incidere davvero. Non possiamo dare tutto in mano ai sindaci e il governo Meloni non può demandare soltanto alle amministrazioni la scelta”.

Quindi una questione sia di equilibrio politico che di necessarie risposte ai bisogni della categoria.
“Ma certo. Il tema incredibile poi è che ancora oggi non sappiamo nulla sui canoni. Non c’è chiarezza: se ci sarà o meno un aumento dei canoni, se gli attuali concessionari in questi anni e anche in quelli futuri continueranno a destinare una cifra bassissima come introito che poi arriverà allo Stato, o se invece ci sarà un aumento. Altro tema un po’ tralasciato”.

Pensate sia necessario un aumento del canone?
“Crediamo sia assolutamente necessario. Ovviamente bisogna analizzare vari contesti, ma in molti di questi le cifre che vengono destinate allo Stato sono molto basse. Si parla addirittura in media di un euro ogni 100 di fatturato, quindi mediamente un importo molto basso”.

G.B.