CATANIA – In Sicilia il patrimonio culturale potrebbe diventare il motore dell’economia della regione. Ma accanto alla mancata ottimizzazione delle esposizioni, esiste un’ulteriore piaga: l’immagazzinamento irregolare di reperti archeologici nascosti. In un convengo alle Ciminiere, l’ipotesi realistica di una nuova politica di gestione che potrebbe coinvolgere anche l’hotellerie e gli aeroporti.
In Sicilia, i beni culturali dimenticati
La Sicilia è uno scrigno di tesori di valore inestimabile. Ed è proprio questo che, ogni anno, attrae milioni di turisti, nonostante l’assenza di un sistema gestionale che garantisca agli ospiti la maggiore fruibilità del patrimonio disponibile nel minor tempo possibile, quale potrebbe essere quello di una vacanza.
Ai musei, nella maggior parte dei casi, non viene garantita la manutenzione, la pubblicizzazione, la digitalizzazione, l’accesso di tutte le categorie dei diversamente abili, un luogo alternativo per depositare in maniera sicura gli oggetti in caso di emergenza.
Ma, oltre a tali mancanze, esiste una grande quantità di reperti che giacciono nel “dimenticatoio”. Nascosti nei magazzini, senza il rispetto delle dovute norme di sicurezza, non vengono nemmeno inventariati; non di rado accade che diventino persino oggetto di appropriazione indebita da parte di cittadini di dubbia moralità. Senza considerare il fatto che a molti studenti universitari, desiderosi di operare nel campo dei beni culturali, venga negata la possibilità di farne un laboratorio attivo di ricerca.
La necessità preliminare, allora, è che vengano inventariati e messi in sicurezza secondo le norme di re-org imposte dal codice di Icom Italia per la conservazione, per poi essere inseriti in un sistema di fruibilità per cittadini, studenti, turisti.
Una politica di gestione consapevole: gli archeological hotels
A denunciare a gran voce le contraddizioni è la soprintendenza ai beni culturali di Catania, Rosalba Panvini: “Tali beni, spesso sequestrati e confiscati a chi finisce per detenerli illegalmente, devono diventare fruiti e fruibili a tutti. I giovani possono diventare le sentinelle dell’arte, se viene data loro questa possibilità; per questo già prossimamente i reperti saranno ospitati per 15 giorni dalle scuole superiori. La Sicilia può diventare antesignana di un uso consapevole dei depositi, soprattutto offrendo ad albergatori e fondazioni l’opportunità di esporre nei propri locali i beni che oggi rimangono chiusi nei magazzini”, ha chiosato.
Ed è proprio agli archeological hotels che punta anche Mario Bevacqua, il presidente dell’associazione internazionale degli agenti di viaggio: “La Sicilia è la regione più ricca al mondo per i beni culturali. Il comparto turistico è unito e disposto a creare una rete di hotel dedicati all’archeologia, con l’intento di incrementare il turismo e destagionalizzarlo. Occorre far presto, c’è un grosso mercato disposto ad accogliere l’offerta e la nostra regione sarebbe la prima a realizzare una rete di archeological hotels”, ha detto. L’iniziativa, inoltre, potrebbe vedere l’assunzione di un gran numero di neolaureati e specializzati nei beni culturali, oltre che nel settore turistico.
La fattibilità del progetto e il cantiere già aperto
Il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, si è fatto promotore dell’urgenza della questione: “Inutile pensare a protocolli d’intesa, si perderebbe altro tempo. Meglio un regolamento che definisca i modi precisi di procedere. Attendo una proposta scritta per parlarne già da subito in Assemblea regionale. Data la quantità di materiale disponibile, si possono aprire 4 musei archeologici, 3 musei di scienza naturale e 2 gallerie d’arte”, ha dichiarato.
Ma prima di pensare a nuove aperture, la Regione vuole riqualificare i siti esistenti e inserirli in un’unica rete: “Non tutti i musei che abbiamo sono di qualità. Abbiamo stanziato 18 milioni di euro del fondo regionale per dotare dell’essenziale le aree archeologiche; le gare d’appalto sono già state indette. Con 4 milioni di euro ottimizzeremo 5 musei esistenti, cercando di farli diventare centro quotidiano di ritrovo dei cittadini, anche per un banale caffè. E cercando di fornirli di proiezioni video e audio che, come in altri luoghi d’Italia, possano aumentare l’appetibilità dell’esperienza. Il turismo culturale può diventare il mezzo di traino principale dell’economia siciliana e la Regione può inserire i beni culturali privati, pubblici ed ecclesiastici in un’unica rete, per poi sponsorizzarla adeguatamente”, ha continuato.
Le iniziative circoscritte che fanno la differenza
Fino a oggi, di fatto, il miglioramento della fruibilità del patrimonio culturale è stata oggetto dell’iniziativa volontaria di singoli soggetti che hanno voluto offrire il proprio contributo al territorio. Come ha fatto la famiglia Caflish “che ai tempi di Paolo Orsi ha donato 22 casse di reperti archeologici trovati nei terreni di sua proprietà”, ha raccontato da Giuseppe Lo Porto, vicepresidente di SiciliAntica.
Non mancano nemmeno i contributi contemporanei di professionisti appassionati del settore, come successo al museo delle anfore di Kamarina e al museo di Caltanissetta, dove “sono stati portati alla luce 130 reperti che prima erano chiusi nei depositi. Per ricreare gli ambienti domestici, di preghiera e di sepoltura della Sicilia tra il 1800 e i 1900, offrendo anche ai non vedenti l’opportunità di fruire dei beni”, come ha raccontato Giovanni Crisostomo Nucera, soprintendente ai beni culturali del comune nisseno. “Il tutto quasi a costo zero, avendo un solo sponsor a disposizione”, ha aggiunto l’archeologa Marina Congiu.