Beni Culturali

Beni culturali, il flop dell’autonomia siciliana e il loro futuro

I beni culturali in Sicilia rimangono simbolo di orgoglio e di rabbia. Di orgoglio perché il patrimonio dell’Isola è immenso. Di rabbia perché, se si tirano le somme, i musei della regione – già prima dell’emergenza sanitaria attuale – presentano performance impietose. Ma c’è un secondo problema non meno grave: la Regione, a statuto speciale, non riesce a tutelare i suoi beni. Questo vale non solo per le “opere secondarie” ancora nascoste nei depositi e mai inventariate, ma persino per quelle di maggior rilievo. Per esempio, un decreto del 2013 firmato dall’assessorato ai Beni culturali ha dichiarato di voler proteggere e mettere a reddito le meravigliose opere artistiche presenti sul territorio, in particolare alcune più “fragili”. Ma in realtà, tra deroghe e scarsa efficienza, ancora si è ben lontani dalla loro valorizzazione e si usa l’autonomia regionale in modo improprio.

Le performance dei luoghi della cultura in Sicilia, prima del coronavirus

Musei e parchi archeologici rimangono attualmente chiusi a seguito delle restrizioni per arginare i contagi del virus: per quest’anno l’assessorato potrà facilmente giustificare il mancato fatturato per cause di forza maggiore. Sarebbe forse più complicato, eventualmente, giustificare ai cittadini il passato e il prossimo futuro, qualora non si fosse sfruttato questo lungo tempo di stop per progettare il da farsi per mettere in rete le infinite ricchezze dell’Isola.

Palazzo Abatellis

La mancanza di strategie capaci di rendere fruibili i beni ancora chiusi nei magazzini, di “svecchiare” i musei, digitalizzarli e pubblicizzarli in maniera organica e sistematica sul web, di destagionalizzare il turismo, facendo leva non solo sulle gite scolastiche e sui congressi, ma anche sulle meraviglie – non solo paesaggistiche – presenti in Sicilia, non dipende dal Covid. A dirlo sono i numeri relativi al fatturato dei musei della nostra regione per gli anni 2018 e 2019 che non indicano nessuna crescita rilevante: nel 2018, il bilancio complessivo dei musei siciliani si è chiuso con € 28.247.808; nel 2019, gli incassi sono stati di € 28.514.871 (+0,95%).

Analizzando attentamente i dati, nel 2019 si è registrato un calo dei visitatori rispetto all’anno precedente del -2,37%: sono diminuiti gli ingressi gratuiti – riservati principalmente ai portatori di handicap, ai minori di 18 anni, ai ricercatori, a docenti e studenti di corsi di studio attinenti al settore, alle guide turistiche – di ben 8,91 punti percentuali (1.728.553 nel 2018, 1.572.498 nel 2019) e sono lievemente aumentati dello 0,58% quelli a pagamento (3.413.698 nel 2018, 3.433.435 nel 2019). 

Numeri che non sembrano essere giustificati nemmeno dal lieve decremento del numero di turisti. Secondo quanto pubblicato dal Dipartimento Turismo, Sport e Spettacolo – Osservatorio Turistico e dello Sport, nel 2018 sono state registrate 15.135.259 presenze (+2,9% rispetto al 2017), mentre nel 2019 15.114.931 (-0,1% rispetto al 2018). 

Un decreto che “tutela” i beni culturali affidandone le sorti agli organi non competenti

C’è di più. Sul sito web ufficiale dell’assessorato ai Beni culturali e all’Identità siciliana, si comunica che il Decreto assessoriale n.1771 del 27 giugno 2013 ha sancito il “divieto d’uscita dal territorio della Regione Siciliana dei Beni che costituiscono il fondo principale di Musei, Gallerie, Biblioteche e Collezioni”. E si specifica che “in particolare è vietata l’uscita, anche se temporanea, dei beni descritti” sulla stessa pagina, che sono 21. Andando a leggere il testo integrale del decreto, si può subito notare come:

Palazzo d’Orléans

– l’elenco dei beni a “tutela particolare” sia composto da 23 opere (e non 21, come pubblicato sul sito della Regione);
– l’inamovibilità dei suddetti beni è soggetta a deroghe che mettono a rischio proprio la sicurezza delle opere che si vorrebbe tutelare;
– già allora l’assessorato era cosciente della necessità della “messa in rete dei poli museali d’eccellenza” e della “individuazione di eventi e iniziative atte a svolgere una funzione di moltiplicatore della domanda di cultura e di attrattori di investimenti del settore”.

QUI IMMAGINI E INFORMAZIONI SULLE OPERE

Un confronto con le Gallerie fiorentine

Il David di Michelangelo

Le 23 opere “costituenti testimonianza essenziale delle antiche civiltà e risorsa essenziale delle azioni di valorizzazione del patrimonio culturale in Sicilia” non sembrano aver mai fruttato granché, nemmeno prima del Covid. Rimangono distribuite, come si può ben notare, in 11 musei diversi delle province siciliane che, nemmeno sommati insieme, riescono a eguagliare il successo della Galleria dell’Accademia di Firenze, dov’è custodito il David di Michelangelo. La galleria fiorentina non è neppure il primo museo del capoluogo toscano, dove il primato indiscusso spetta alle Gallerie degli Uffizi che, nel 2019, hanno totalizzato 4.391.895 visitatori (+33,2% rispetto al 2018). Eppure l’amatissimo David di Michelangelo, lo scorso anno, ha raggiunto i suoi 1.709.776 visitatori.

Le nostre 23 preziose opere, tutte insieme, nel 2019 hanno totalizzato soltanto 320.457 visite. Una performance addirittura peggiore rispetto all’anno precedente, quando i visitatori erano stati 354.522 (-9,61%). Nel 2019 il loro fatturato complessivo è stato di 956.867 euro, mentre nel 2018 di 1.069.448 euro (-10,53%). 

Lampada pensile

Ad aver lievemente incrementato il numero di visite rispetto al 2018, esclusivamente cinque opere, concentrate in soli due musei: la Lampada pensile di Fra’ Matteo Bavera e il Polittico di Trapani del Museo del Satiro di Mazara del Vallo; l’Efebo di Agrigento, il Cratere di Achille e Pantasilea e il Vaso con deposizione di Patroclo nel Museo archeologico regionale “Pietro Griffo” di Agrigento.

Domani torneremo sul tema con interviste esclusive sull’argomento