Ambiente

Biogas, quel tesoro “nascosto” che la Sicilia perde tra burocrazia e filiere sconnesse

Agricoltura, rifiuti, energia: tre settori che potrebbero diventare parte di un’unica filiera volta all’economia circolare e al rispetto dell’ambiente. L’esistenza di questa filiera, però, deve obbligatoriamente passare dallo sviluppo strutturale degli impianti che producono biogas a partire dagli scarti agricoli. “Questi impianti – spiega Rosario Ragona, presidente di Confagricoltura Sicilia – potrebbero permettere di ridurre i costi energetici, sempre più onerosi, e di trarre un utile dagli scarti di lavorazione. Se poi ci fosse anche la possibilità di vendere una parte del prodotto derivato ci sarebbe anche un reddito accessorio per gli agricoltori”. Tuttavia, mentre in tutta Italia questi impianti esistono da decenni, la Sicilia deve fare i conti con uno scarso sviluppo del settore.

I dati sugli impianti a bioenergie

Biagio Pecorino

A fotografare la drammatica carenza impiantistica in una regione dalle altissime potenzialità, data la forte vocazione agricola, è Biagio Pecorino, professore di Economia agraria all’Università di Catania. “Ci sono – spiega – circa cinque impianti che producono biogas per trasformarlo in energia elettrica e poi c’è un impianto che produce biometano a partire dagli scarti agricoli che poi viene utilizzato soprattutto per l’automotive con un risparmio significativo di combustibili fossili”.

Questa mancanza impiantistica, tuttavia, non si ferma solamente agli impianti che trasformano gli scarti agricoli. Secondo l’ultimo rapporto del Gse (il gestore dei servizi energetici in Italia) pubblicato il 21 marzo scorso, tutte le bioenergie non sono sfruttate pienamente in Sicilia. Basti pensare che, a fine 2020, erano presenti solo 42 impianti (di cui secondo il Consorzio italiano biogas la metà sono impianti agricoli, vedi intervista a fianco) con una potenza installata di 73 Megawatt: appena l’1,4% del totale nazionale. Un dato sicuramente basso e che è paragonabile a quello della sola provincia autonoma di Trento, in cui sono presenti 43 impianti (1,5% del totale). Se il paragone si fa con le altre regioni, si può ben capire quanto sia indietro l’Isola. In Lombardia, ad esempio, sono presenti ben 757 impianti in grado di produrre circa 2.830 Gigawatt di biogas. In Sicilia i Gigawatt prodotti sono appena 100. A questi numeri, tuttavia, sono da aggiungere le proposte progettuali in attesa di autorizzazione presso la Commissione Via/Vas. “Le proposte – spiega il presidente Aurelio Angelini – di impianti per la produzione di biogas a partire dagli scarti agricoli attualmente in attesa di autorizzazione sono una decina. Se sono poche o meno dipende dalla portata di questi impianti. Secondo una mia previsione sono sovradimensionate”.

Tutti per lo sviluppo ma nessun cambiamento all’orizzonte

I numeri mostrati nel rapporto del Gse e denunciati dal docente Unict Biagio Pecorino raccontano una vera e propria occasione sprecata in termini di indipendenza energetica e contrasto al cambiamento climatico. Soprattutto viste le peculiarità dell’agricoltura isolana, che punta sempre più alla trasformazione a discapito della vendita di prodotti agricoli tal quali.

“L’agroalimentare siciliano – continua Pecorino – è caratterizzato da processi che puntano ad offrire sempre più servizi ai consumatori. Il consumatore oggi mangia più prodotti trasformati che prodotti agricoli. Questi prodotti comportano certamente la necessità di fare delle operazioni preliminari. Se le imprese trasformano un milione di chili di arance al giorno, ci saranno 600mila chili al giorno di scarti. Fino a ieri abbiamo ignorato volutamente questo problema. Oggi l’economia circolare ci impone di trasformare il problema in opportunità: dare vita agli scarti producendo energia sia per il sistema, sia per la terra attraverso il digestato”.

Secondo il docente Unict “riutilizzare scarti e sottoprodotti deve essere un imperativo” in quanto “l’impatto sarebbe immenso perché può levare dei costi sia di natura economica che di natura ambientale. Sarebbe ipocrita vendere il migliore olio del mondo e fregarsene dell’acqua di vegetazione che va a finire a inquinare mari e fiumi utilizzati dal cittadino”.

Che fa la Regione siciliana?

A fronte di questa enorme convenienza economica e ambientale anche l’assessore regionale all’Agricoltura, Toni Scilla, si considera “favorevole in linea di principio” a questi impianti. “Noi come assessorato – spiega l’esponente del Governo Musumeci – non li incentiviamo, è un tema che sta sviluppando un altro dipartimento. Posso dire che potenzialmente è qualcosa di utile perché gli scarti potrebbero produrre energia. C’è il tentativo di incentivare questi impianti e si sta lavorando su questa cosa. Per adesso ci sono proposte vaghe ma nessuna scelta già definita. Poi bisogna vedere i dettagli, perché comunque non devono arrecare un danno all’agricoltura. È evidente che se questa scelta deve svilupparsi dobbiamo fare in modo che deve diventare un momento di un ritorno economico per l’agricoltore stesso”.

Il dipartimento che si sta occupando, secondo quanto si apprende dall’assessore Scilla, di preparare misure che incentivano gli impianti che producono biogas a partire dagli scarti agricoli sarebbe quello dell’Energia. Purtroppo, non è dato sapere nello specifico a cosa si sta lavorando in quanto il dipartimento e l’assessorato hanno declinato tutte le nostre molteplici richieste di intervista. “Non possiamo immaginare un impianto ogni 100 metri – dichiara Rosario Ragona – in quanto avremmo difficoltà a coltivare in un momento in cui ci siamo resi conto di aver perso la sovranità alimentare. Va bene se fatto nella giusta misura con un piano energetico fatto dalla Regione che abbia un impatto ambientale compatibile con le coltivazioni siciliane”.

Scarti agricoli valorizzati al nord “ignorati” al sud

Altro aspetto reso evidente dalla distribuzione impiantistica nella penisola è che l’occasione di rendere l’industria agroalimentare meno inquinante attraverso la valorizzazione dei suoi scarti di produzione è stata maggiormente intercettata dalle regioni del nord. A discapito di quelle meridionali, dove l’agricoltura è molto più sviluppata, con la conseguente maggiore produzione di scarti. “L’83,4% della produzione complessiva nazionale di energia elettrica da biogas – si legge nel rapporto del Gse – è fornita dalle regioni dell’Italia settentrionale. La principale è la Lombardia, che concentra il 34,6% del dato nazionale, seguita da Veneto (15,3%), Emilia-Romagna (14,6%) e Piemonte (12,6%)”.

Come si spiega questo paradosso? “Al nord – spiega Pecorino – si sono sviluppate le energie rinnovabili perché c’erano foreste da pulire e le tante deiezioni della zootecnia. Noi abbiamo colture arboree permanenti come la vite, da cui si produce il vino, le arance, da cui si fanno i succhi, e l’ulivo, da cui si produce olio. Dobbiamo trovare una dimensione mediterranea e siciliana, ma siamo colpevolmente lenti: a livello regionale ci sono delle autorizzazioni che vengono date con estrema difficoltà”.

Una difficoltà che, tiene a sottolineare il docente, è dovuta spesso anche dai cittadini. “È famoso – continua – l’impianto nel ragusano che, nonostante sia stato autorizzato diversi anni fa, viene osteggiato dai cittadini perché lo temono e lo confondono probabilmente con altri impianti. Una diffidenza che nasce da ignoranza o da malafede. Ma in area agricola dobbiamo fare villette o impianti che valorizzano gli scarti agricoli del territorio? A questa domanda purtroppo la politica regionale non risponde e non prende posizione. Anzi spesso dà adito a fraintendimenti e a situazioni grigie fuori dalla tecnica”.

I motivi della lentezza, dunque, non sono solamente da ricercare nei comitati cittadini o nelle amministrazioni che non vogliono autorizzare impianti nel loro mandato per non perdere il sostegno del loro elettorato. “La mia amarezza – chiosa Pecorino – è che ci sono dei fondi nazionali e, se nel biogas per elettricità ci sono 1.500 impianti e solo 5 in Sicilia, probabilmente con i Cic (Certificati immissione al consumo, pari a pari a 375 euro ogni 10 gcal e nel caso di biomasse avanzate ogni 5 gcal) che danno gli incentivi per il biometano si sta ripetendo la stessa trafila: sono fondi nazionali che in gran parte vanno alle altre regioni e pochissimi alla Sicilia perché evidentemente non siamo pronti e quelli che lo sono vengono scoraggiati da indeterminazioni pubbliche. Tante sono le domande e poche le realizzazioni: nel dubbio non ne autorizzano neanche una? Questo non è giusto. Io credo che sarebbe opportuno scegliere politicamente. È vero che tanti sono interessati e pochi realizzano. Questo perché ci sono soggetti come la commissione Via/Vas che spaventano gli imprenditori”.

Un concetto ribadito anche da Ragona: “Credo che alla luce della crisi energetica in atto debba essere fatta una sburocratizzazione per quanto riguarda gli impianti energetici. La Regione invece che incentivare questi impianti scoraggia gli imprenditori con la troppa burocrazia”.

Ma la commissione Via/Vas non ci sta

Il presidente della Commissione regionale Via/Vas rispedisce però al mittente le accuse. “Buona parte delle lentezze del Paur – spiega Angelini – sono generate dal fatto che ci sono tanti enti chiamati ad esprimere una valutazione prima che noi esprimiamo la nostra. Spesso veniamo indicati come quelli che sono in ritardo ma non possiamo pronunciarci se non abbiamo tutti questi pareri. Altrimenti veniamo bacchettati dal Tar. Ma a determinare i ritardi sono anche le stesse imprese. Noi abbiamo tante istanze con gravi carenze documentali che ci obbligano a richiedere una serie di integrazioni. Integrazioni per cui le imprese si prendono fino a 180 giorni. Si può parlare astrattamente di quello che si vuole ma se vogliamo entrare nel merito sostanziale dei tempi della procedura chi non ha colpe scagli la prima pietra”.

L’intervista a Piero Gattoni, presidente del Consorzio Italiano Biogas