Calcio

Calcio a Catania, che cos’è e come funziona l’azionariato popolare in un club

I tifosi del Catania sono ancora con il fiato sospeso in attesa di capire, sulla scorta del pronunciamento federale, quale potrà essere il futuro del calcio a tinte rossazzurre e da quale categoria potrà ripartire la nuova realtà chiamata a rappresentare la città. A prescindere da tutto, come vi abbiamo raccontato qualche tempo fa, sono numerose le iniziative dei sostenitori etnei, tra cui spiccano quelle relative all’azionariato popolare. Una formula gestionale dal sapore “romantico”, di cui si parla sempre più spesso ma che è poco conosciuta. QdS.it ha rivolto alcune domande al prof. Rosario Faraci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l’ateneo catanese.

Rosario Faraci

Che cos’è e come funziona l’azionariato popolare?

“L’azionariato popolare è una pratica di governance diffusa nel mondo sportivo internazionale. Sul modello della ‘public company’, ovvero della grande società americana quotata nel mercato borsistico, consiste in una frammentazione della proprietà aziendale fra una molteplicità di piccoli azionisti che, nel caso di una società sportiva, rappresentano il pubblico dei tifosi che, con la titolarità di quote sociali, diventano così investitori della loro squadra del cuore. Naturalmente, prosegue il docente, l’azionariato popolare è autenticamente tale quando la maggioranza delle quote sociali è assegnata ai piccoli investitori che designano poi loro rappresentanti nel consiglio di amministrazione e concorrono ad individuare un management professionale cui è affidata la guida della società sportiva”.   

Come si può integrare nella gestione di una società calcistica?

“In tantissimi modi. Il caso più noto al mondo è quello del Barcellona in Spagna, con oltre 200.000 soci-tifosi nel capitale sociale. Ma nella nazione iberica ci sono anche i casi analoghi di Real Madrid, Atletico Bilbao, Osasuna e Real Murcia. A Madrid e Barcellona, quando l’assemblea deve votare gli organi sociali ci sono elezioni che, per importanza, non sono da meno rispetto a quelle politiche. Alla presidenza va chi vince la campagna elettorale. Le modalità attraverso cui può prendere forma l’azionariato popolare di una squadra di calcio -precisa Faraci – sono però tantissime e dipendono tanto dalle leggi vigenti nel Paese, quanto dalle quote di capitale riservate ai piccoli azionisti. In Germania, ad esempio, in forza della legge del 50%+1, che vieta la concentrazione della proprietà nelle società sportive, l’azionariato popolare del Bayern con oltre 160.000 piccoli soci vale il 73% del capitale sociale, la restante parte è di proprietà di aziende e sponsor. Hanno scelto come amministratore delegato una bandiera della squadra, l’ex portiere della nazionale Oliver Rolf Kahn. In Italia, il primo esempio di azionariato popolare nel 2009 è stato quello dell’associazione sportiva Squadramia che acquisì il 10% del capitale della Santarcangelo. In serie A il primo esperimento del genere è stato quello di MyRoma nel 2010. A seguire tanti altri casi di azionariato popolare, in cui – a differenza delle polisportive spagnole e tedesche in cui la proprietà è distribuita fra centinaia di migliaia di soci – la partecipazione degli investitori-tifosi è stata sempre minoritaria”.  

Sulla base del contesto socio-economico della città, ritiene che questo modello possa essere adatto per il “nuovo” Catania ?

“Sono a conoscenza della recente iniziativa di un comitato di promotori di azionariato popolare animato da alcuni importanti professionisti cittadini. Immagino che vogliano raccogliere adesioni di privati, interessati ad acquisire una piccola quota del capitale sociale della nuova società che si costituirà su iniziativa di investitori ed imprenditori privati per rilanciare il nuovo Calcio Catania. Il successo di questa iniziativa di mobilitazione dipenderà da cosa verrà scritto nel bando del Comune di Catania per individuare la nuova società cui sarà affidata la gestione del Cibali e che dovrà provvedere all’iscrizione della squadra nella serie indicata dalla Lega Calcio, auspicabilmente la serie D. In altri termini, bisogna capire quanta parte del capitale sociale della nuova società verrà assegnata ai piccoli azionisti dai nuovi investitori. Una iniziativa del genere è stata sperimentata anche in altre situazioni, per sostenere le squadre locali nelle serie minori. Nell’estate scorsa, l’economista Carlo Cottarelli aveva lanciato un progetto analogo per raccogliere adesioni per investire nel capitale sociale dell’Inter, qualora la famiglia Zhang avesse deciso di aprire l’azionariato anche ai soci-tifosi”.

Quali dovrebbero essere, a suo avviso, gli elementi indispensabili su cui fondare un azionariato popolare a Catania come altrove?

“Sicuramente la trasparenza nelle procedure di adesione e la cosiddetta ‘accountability’ dell’azionista di maggioranza, cioè la capacità del proprietario di rendere sempre e dovunque conto del proprio operato, a partire dal progetto aziendale con cui vuole rilanciare la squadra. Il modello padronale nel calcio in cui tutto avviene a porte chiuse è destinato a tramontare un po’ ovunque, lo si vede già in serie A e anche nelle serie minori. Catania ha conosciuto tre esempi di governance padronale (Massimino, Gaucci, Pulvirenti) molto diversi fra loro per leadership del Presidente, spirito di attaccamento alla bandiera rossazzurra, capacità di spesa e di investimenti, coinvolgimento di professionisti nella conduzione della società. Ma in tutti questi modelli, al manager professionale si preferiva spesso l’uomo di fiducia della proprietà molto obbediente al padrone ma poco attento ai principi di una sana, corretta ed indipendente gestione aziendale. Quando si vuole costruire qualcosa con ‘i soldi degli altri’, che sia una squadra di calcio o anche una compagnia aerea, ci vogliono seri progetti imprenditoriali con metriche di rendimento ben precise, bisogna individuare prima i manager che li porteranno avanti, è necessario saper comunicare bene al pubblico e correttamente, senza ricorrere a slogan. Altrimenti, la raccolta di quote diventa una forma di elemosina che non si addice al mondo del calcio, nemmeno quando – come nel caso dei tifosi del Catania – il cuore batterà sempre forte per la squadra locale”.

Vittorio Sangiorgi