Catania

Colpo a Cosa nostra, nove in manette a Catania

CATANIA – Cosa nostra etnea vende parte dei propri beni: le servono soldi per finanziare la ‘famiglia’. Per dirla con Giuseppe Cesarotti, imprenditore intercettato e arrestato dai carabinieri del Ros di Catania, i soldi servono per sostenere chi è “nell’altra vita”, con riferimento a Francesco Mangion, boss deceduto per il coinvolgimento del figlio Enzo, e i “sepolti vivi”, identificati con i capimafia ergastolani detenuti Benedetto Santapaola e suo nipote Aldo Ercolano.

È il quadro che emerge dall’inchiesta ‘Samael’ della Dda della Procura di Catania su Cosa nostra nel capoluogo etneo che ha portato all’arresto di nove persone, tra esponenti della cosca Santapaola-Ercolano, imprenditori e faccendieri e al sequestro di beni per 12,6 milioni di euro, tra immobili e società.

Ma, avverte il procuratore Carmelo Zuccaro, “elogiando le indagini del Ros” che proprio oggi ‘compie 29 anni’, “non lasciatevi ingannare dal momento: la mafia catanese è sempre feroce e molto pericolosa”. Per il procuratore aggiunto Francesco Puleio nell’inchiesta si “respira aria di alta mafia”.

Il ‘faro’ dei militari dell’Arma del Ros è acceso da almeno il 2014 sul mondo economico di Cosa Nostra a Catania e sulla famiglia Cesarotti, Giuseppe e Salvatore, padre e figlio di 75 e 54 anni, accusati di essere legati al gruppo Santapaola-Ercolano e legati, in particolar modo, a Giuseppe ‘Enzo’ Mangion, figlio del boss deceduto Francesco che è stato per decenni uno dei luogotenenti fidati di Benedetto Santapaola. I tre sono tra gli arrestati.

Il certosino lavoro del Ros, presenti alla conferenza stampa con il vice comandante generale, il col. Giancarlo Scafuri, e della Dda di Catania ha ricostruito investimenti, riciclaggio, alienazione di beni riconducibili a Cosa nostra con la complicità di imprenditori. Come Mario Palermo, di 75 anni, considerato dall’accusa un prestanome del clan e posto agli arresti domiciliari, o Francesco Antonio Geremia, di 59, condotto in carcere che sarebbe stato anche un ‘faccendiere’ a disposizione del clan.

L’inchiesta ha fatto luce sull’incendio doloso a un lido balneare a Mascali, il ‘Jaanta Bi’, per estorsione, e sul passaggio di terreni riconducibili a Cosa nostra da agricoli a edificabili. Il Gip, accogliendo la richiesta della Procura, ha disposto il sequestro di 23 villette, 21 delle quali in provincia di Reggio Calabria di proprietà della Co.Invest, e di diverse società, compresa la LT logistica e trasporti e la G. R. transport logistics specializzata nel deposito ferroviario e trasporto merci che, accusa la Dda, contrastavano “attraverso minacce e intimidazioni” le aziende concorrenti.