CATANIA – Il 28 e il 29 settembre la Città dell’Elefante ha ospitato il convegno nazionale sulla dispersione scolastica organizzato dal Comitato Nazionale “Centenario don Milani” – I Care. Maestro e sacerdote di Barbiana, l’attività di Lorenzo Milani è stata al centro del confronto tra docenti, dirigenti scolastici e istituzioni per analizzare e confrontarsi sull’allarmante fenomeno della povertà educativa, con tutte le conseguenze che ciò comporta: perdita di risorse per il territorio, minore capacità produttiva, una sempre più fitta rete di intrighi criminali e mafiosi in cui rimangono coinvolti giovani e minori, come vittime o artefici. In questo quadro complesso concorrono diverse cause, dalla provenienza socio economica a quella geografica.
“Ricorre ancora attuale il monito di Milani: la scuola ha un solo problema e cioè i ragazzi che perde”. Così inizia la sua relazione Milena Santerini, docente dell’Università Cattolica di Milano, “i problemi della scuola sono i pochi fondi, la poca formazione degli insegnanti, la didattica ripetitiva e non inclusiva. La scuola più severa e selettiva non è la soluzione, le pari opportunità lo sono. Oggi c’è un’idea di scuola debole, un disprezzo in toto dell’istruzione soprattutto da parte di chi ha meno opportunità e non riesce ad andare avanti nel percorso formativo, ciò genera nel ragazzo una potente crisi di sfiducia in se stesso. Siamo al quart’ultimo posto in Europa per dispersione scolastica e abbiamo di fronte un problema multidimensionale: ci vogliono più asili nido, formazione professionale, sostegno alle famiglie” dice la Santerini.
Le fa da eco Antonella Inverno, delegata di Save the Children, che parla di una nuova questione meridionale: “Al Sud non esistono le mense scolastiche, non ci sono nelle scuole primarie e neanche nelle secondarie di primo grado e quando, venendo in Sicilia, chiedo il perché mi sento rispondere che le donne ‘sono felici di cucinare a casa per i loro figli’: credo che il diritto di genitorialità sia importantissimo, ma credo anche che le donne debbano avere spazio per sé e diritto al tempo liberato. Servono nuove offerte infrastrutturali, non è ammissibile la carenza dello Stato proprio dove più c’è bisogno. Se si investe, i risultati ci sono come in quella scuola di Palermo dove si è passati dal 25% di dispersione scolastica all’1%. I ragazzi li andavano a prendere fino a casa se non andavano a scuola” dice Inverno riferendosi allo Sperone-Pertini.
Anche il presidente dello Svimez Adriano Giannola mette in risalto le disuguaglianze tra Nord e Sud, schierandosi contro l’autonomia differenziata: “L’80% di studenti non ha la mensa in Sicilia, il 20% di studenti non ha la mensa in Lombardia. Attualmente però l’istruzione è statale, non territoriale: non c’è bisogno di eroismo, se siamo italiani quelle cifre non hanno senso in uno Stato che la dignità di definirsi tale. E allora non è vero, come scritto in Costituzione, che sanità istruzione e mobilità sono le priorità. L’Italia ha tradito il suo percorso e chiede ora ai più ricchi aiuto per non essere ingombrata da quelli che stanno peggio. Siamo al livello in cui ancora oggi, come fu per la Cassa del Mezzogiorno nel 1950 con De Gasperi, l’Ue investe 209 miliardi di euro nel Pnrr al Sud con lo stesso identico obiettivo di allora: dover aiutare a ridurre le disuguaglianze per evitare lo scandalo” dice Giannola.
Il direttore dell’ufficio scolastico regionale Giuseppe Pierro ha restituito al convegno alcuni dati “Nell’anno scolastico 2021-22 sono quasi seimila i casi di frequenza irregolare, di abbandono e di evasione scolastica rilevati in Sicilia negli istituti di primo e secondo ciclo, tra questi la metà sono riferibili a comportamenti problematici dell’alunno e il 45% a problematiche familiari” spiega Pierro che annovera tra le criticità anche il calo demografico. “Rispetto agli ultimi dieci anni – afferma il direttore dell’Usr – si contano 95 mila iscritti in meno, -12 mila soltanto nel 2022-2023 rispetto all’anno scolastico precedente. La provincia di Palermo ha registrato il maggior calo di alunni, 3.544. A seguire Agrigento con meno 1.900, Messina 1.451 e Catania meno 1.378. Di conseguenza c’è stata anche una contrazione delle istituzioni scolastiche, passate dalle 889 del 2013 alle 812 del 2023”.
Sulle politiche da mettere in campo, all’indomani del dl Caivano, ci sono diverse e a volte contrastanti proposte per combattere il fenomeno della violenza: c’è chi vuole puntare sui percorsi rieducativi di ragazzi e sostegno alle famiglie, chi crede che la scuola debba rinnovarsi didatticamente per tornare utile, chi invece sostiene che lo sforzo “eroico” della scuola non può tutto, è necessario che intervenga la giustizia.
“La scuola da sola non ce la può fare”, dichiara il garante siciliano dei diritti per l’infanzia Giuseppe Vecchio: “ci vuole un potenziamento dell’antimafia per evitare che i minori finiscano nella mani sbagliate e servono dei progetti di supporto che siano direttamente coperti da fondi nella prossima finanziaria, in stile decreto Caivano” dichiara Vecchio, a cui fa da eco Filippo Pennisi presidente della Corte d’Appello di Catania che riprende a modello il decreto Caivano invocando uno sforzo collettivo comune per riunire le istituzioni e intervenire sulle situazioni a rischio: “è questo che stiamo facendo, il nostro progetto di contrasto è nato nel febbraio 2021 con l’osservatorio della condizione giovanile a Catania che ha riunito prefettura, magistrati, Inps, terzo settore, Usr, Università di Catania, tribunale dei minori, forze dell’ordine” spiega Pennisi.
“L’11 febbraio 2022 – prosegue il presidente della Corte d’appello – abbiamo siglato un protocollo d’intesa con l’Inps a cui vengono segnalati i nuclei familiari che non mandano i figli a scuola, con la conseguenza della sospensione del reddito di cittadinanza. Non è più solo una logica repressiva ma diventa preventiva, per questo anche sul piano legislativo stiamo facendo passi in avanti, l’esempio è il ddl 485 16 Maggio 2023 che include il Protocollo Liberi di Scegliere”.
Tra i fautori di questo progetto Roberto di Bella, presidente del Tribunale dei minori di Catania, che ha sperimentato prima a Reggio Calabria e ora a Catania questo protocollo rivolto a minori e giovani adulti appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta e mafia autori di reato e a rischio criminalità. Il progetto prevede percorsi di educazione individualizzati, con l’obiettivo di fornire una valida alternativa al contesto mafioso di provenienza. “A Catania gran parte dei ragazzi che ha a che fare con la giustizia non ha scolarizzazione – continua Di Bella -. In più i dirigenti scolastici, a volte, non denunciano le assenze, dimenticando che si incorre in dure sanzioni penali per questo: abbiamo così ideato un protocollo che al momento coinvolge Catania, Ragusa e Siracusa che modifica il decreto ministeriale e snellisce la trafila di segnalazione di modo che si possa già denunciare a Usr e Procura dopo dieci giorni di assenza anche non continuativi, da parte dell’alunno. Ricordiamoci che Catania è al momento sopra Napoli per dispersione e disoccupazione giovanile, questa è una bomba sociale”.
Di Bella lancia anche una sfida: “Scommettiamo di fare in 15 plessi scolastici a Catania degli Hub Culturali aperti il pomeriggio e pieni di attività extrascolastiche, il tutto entro il 31 dicembre. Le misure repressive ci hanno permesso di parlare con le famiglie e mi è capitato di sentirmi dire in carcere ‘grazie’ da un boss detenuto al 41bis, ravveduto ma non pentito, perché era contento che stessimo aiutando il figlio ad allontanarsi”.
Sull’intervento della giustizia non sono proprio dello stesso avviso la segretaria generale della Flc Cgil nazionale Gianna Fracassi che al Quotidiano di Sicilia dichiara: “Tutte le misure alla law and order non possono essere la risposta: sono misure spot come quelle che al momento sono state previste a livello nazionale, spesso di propaganda, che prevedono meno risorse da investire e sono meno efficaci” dice la Fracassi. E la presidente del Comitato Nazionale Rosy Bindi, rivolgendosi a Di Bella, aggiunge: “Il progetto va bene per i mafiosi, ma per i minori non possiamo passare direttamente all’aspetto giudiziario, perché prima vengono le attività di sostegno e recupero. Le famiglie che non mandano i figli a scuola hanno delle difficoltà, l’ascolto viene prima della sanzione: la via maestra non è la giustizia ma la collaborazione tra scuola e assistenti sociali. Togliere il Rdc toglie possibilità alla famiglia, è una scorciatoia, non una soluzione”, conclude Bindi.