PALERMO – C’era una volta il calcio siciliano, quello dei grandi palcoscenici che ha regalato sogni ed emozioni indimenticabili a milioni di tifosi isolani. Non si tratta di una favola, ma di una realtà che a oggi sembra lontana anni luce. Le protagoniste indiscusse erano le tre principali città della nostra regione: Palermo, Catania e Messina.
Sostenute dal calore dirompente delle rispettive tifoserie, queste compagini hanno militato per molti anni in Serie A, conquistando record che resteranno nel cuore di tutti gli appassionati. Ma di quei giorni restano soltanto i ricordi per i nostalgici. Già da qualche anno, infatti, i colori rosanero e rossazzurri hanno detto arrivederci alla massima serie, mentre risale addirittura alla stagione 2006/2007 l’ultima apparizione in A della squadra peloritana. E fu proprio in quel campionato che il nostro calcio toccò i vertici nazionali, con la presenza in contemporanea delle tre siciliane nella massima serie.
Oggi lo scenario è ben diverso. Il Messina fu la prima società a sprofondare finendo nell’anonimato dei dilettanti. Dopo quasi un decennio è arrivato il turno del Catania, con l’arrivo in C, seguito infine dal Palermo. Un lento e doloroso declino derivato da illeciti, gestioni inefficaci e cordate fantasma. Oggi, all’indomani della giornata che potrebbe segnare una svolta per il calcio catanese e siciliano in particolare, vogliamo ripercorrere la storia delle tre più importanti società calcistiche dell’Isola, sperando che da qui possa iniziare un percorso di rinascita capace di riportare lo sport più amato alla gloria di un tempo. Anche per rivitalizzare un giro d’affari ridotto ormai al lumicino.
PALERMO
L’arrivo di Maurizio Zamparini nel capoluogo siciliano ha scritto meravigliose pagine della storia del club rosanero. Era il 21 luglio 2002 e dopo sole due stagioni al Palermo riuscì il salto dalla C alla A. Arrivarono giocatori come Cristian Zaccardo, Andrea Barzagli, Fabio Grosso, Simone Barone e Luca Toni – che nell’estate del 2006 si laurearono campioni del mondo con l’Italia di Marcello Lippi – senza dimenticare campioni del calibro di Edinson Cavani, Javier Pastore, Josip Ilicic e Paulo Dybala. In quegli anni, i rosanero sfiorarono per due volte la clamorosa qualificazione in Champions League.
Ma, a partire dal 2017, iniziò la parabola discendente della società. Zamparini si dimise dalla presidenza e alla fine di quel campionato la squadra andò in B. Il timone passò a Paul Baccaglini, ma dopo continui proclami il patron rifiutò l’offerta presentata, poiché la ritenne priva di garanzie. Nel 2018 arrivò il turno di una società londinese che acquistò il pacchetto azionario del club per la quota simbolica di 10 euro con impegno al pagamento a saldo del credito residuo di quasi 23 milioni di euro. Anche in questo caso non se ne fece nulla e dopo i continui rumor su possibili nuovi imprenditori interessati, nell’aprile dello scorso anno la società finì nelle mani di Arkus Network, holding della famiglia Tuttolomondo.
Dall’entusiasmo iniziale per il sogno Serie A arrivò la mazzata della Figc, che decretò l’estromissione del Palermo dal campionato di Serie B per inadempienze finanziarie. Inevitabile l’intervento del Comune, che costituì un bando per l’acquisizione del club. A vincerlo l’attuale proprietà: Hera Hora, costituita dalla Damir degli imprenditori locali Dario Mirri e Antonino Di Piazza. La squadra è ripartita dalla Serie D e si è aggiudicata al primo anno la vittoria del campionato. Dalla prossima stagione militerà nuovamente tra i professionisti.
CATANIA
Il club rossazzurro ha disputato 17 campionati di Serie A, di cui otto con la gestione di Nino Pulvirenti. L’imprenditore belpassese acquistò la società da Riccardo Gaucci nel 2004 e allestì una rosa competitiva per tornare nella massima serie. Anche ai piedi dell’Etna venne portato avanti un progetto importante: società con i conti in ordine e la costruzione di un centro sportivo all’avanguardia come Torre del Grifo. Ma non solo. Nel corso degli anni furono portate a termine diverse plusvalenze con la vendita di giocatori importanti come Juan Manuel Vargas, Jorge Martinez, Matias Silvestre, Maxi Lopez e il Papu Gomez. Nel 2009 il Catania ebbe l’onore di vedere convocati in Nazionale maggiore Marco Biagianti, attuale capitano rossazzurro, e Giuseppe Mascara, primo giocatore catanese a vestire la maglia azzurra. Ma il club di via Magenta ha fatto anche da palestra per allenatori che in seguito avrebbero fatto grandi cose sia in Italia che in Europa: Walter Zenga, Sinisa Mihajlovic, Marco Giampaolo, Diego Simeone, Vincenzo Montella e Rolando Maran. Sotto la guida dell’ex giocatore della Roma, il Catania ottenne addirittura il soprannome di “piccolo Barcellona”.
Un giocattolo che funzionava benissimo, ma iniziò a rompersi inesorabilmente con il primo addio di Pietro Lo Monaco. La squadra scivolò in Serie B e al termine di quella stagione, nell’estate del 2015, la società venne coinvolta nell’inchiesta dei “Treni del Gol” riguardante il presunto acquisto di partite per evitare la retrocessione. La nuova partenza fu dalla Serie C e ancora oggi, dopo ben cinque anni, il Catania non è riuscito a venir fuori dal pantano della terza serie.
Anche perché la situazione finanziaria del club è peggiorata di anno in anno, fino al quasi fallimento che riguarda l’attualità. Negli ultimi mesi una cordata di imprenditori locali, diventata poi la Sigi Spa, ha mostrato un serio interesse per rilevare il club e proprio nella giornata di ieri è arrivato il passaggio di consegne che ha visto la partecipazione del Tribunale.
MESSINA
Nella sua ultracentenaria storia la squadra peloritana ha disputato cinque campionati di Serie A e 32 di B. Con l’arrivo alla presidenza di Pietro Franza il Messina spiccò il volo: nella stagione 2003-2004 i giallorossi tornarono nella massima serie dopo 39 anni e con la guida di Bortolo Mutti ottennero addirittura il settimo posto a ridosso della zona Europa. Nell’estate 2005, però, vennero fuori le prime avvisaglie sulla fragile tenuta finanziaria della società. La Figc chiese l’esclusione del club isolano dalla massima categoria per irregolarità fiscali, ma il Consiglio di Stato riammise la squadra nel campionato di A.
L’anno successivo, complice lo scandalo Calciopoli, il Messina non retrocedette. Nel 2006-2007, però, si classificò ultimo non riuscendo a evitare la B. Nel campionato cadetto i giallorossi si classificarono al 14° posto, ma nell’estate del 2008 la situazione societaria divenne insostenibile per i debiti accumulati. Le intenzioni di Franza erano chiare: uscire dalla società e passare la mano.
La squadra ripartì dai dilettanti e nel novembre dello stesso anno fallì. Da qui iniziò il lungo calvario che portò la società a cambiare denominazione e acquirenti. Il club fu acquistato anche dall’ex dirigente del Catania Pietro Lo Monaco. Dal 2010 la città dello Stretto può contare su due squadre: l’Acr Messina e l’Fc Messina, entrambe attualmente in Serie D.
“L’attuale condizione economica e sociale dell’Isola – esordisce D’Antoni – che negli ultimi anni si è aggravata, è la motivazione principale che ha portato alla sparizione delle squadre siciliane dai grandi palcoscenici. Senza realtà imprenditoriali solide e sponsorizzazioni non si può competere ad alti livelli. In più si sono verificate delle vicissitudini particolari e la storia recente del Palermo è lì a dimostrarlo. Adesso la società rosanero è in mani adeguate e credo che già dalla prossima stagione tenterà il passaggio dalla C alla B. Anche il Catania ha subìto la grave crisi che ormai tutti conosciamo e spero che ne esca presto. Dobbiamo recuperare le grandi città e magari tornare al ciclo vincente di 15 anni fa”.
Cosa serve per far tornare il calcio siciliano ai fasti di un tempo?
“Sono necessarie realtà imprenditoriali solide e serie. E quella che ha il Palermo è una garanzia. Poi serve l’apporto della città, con la gente che deve riempire lo stadio. Nell’ultimo anno dei rosanero in B non si arrivò alla A poiché i tifosi si separarono dalla società, ma la colpa non fu di certo dei sostenitori palermitani. Quello che serve sono mani affidabili, spirito imprenditoriale, sponsorizzazioni e il calore della gente. Nel capoluogo tutte queste componenti adesso ci sono. Il pubblico è tornato a riempire lo stadio anche in D, si respira un clima positivo. Spero tanto che il Trapani si possa salvare in Serie B, le condizioni ci sono tutte”.
A Catania una cordata di imprenditori è scesa in campo per salvare la matricola dal fallimento. Si è costituita la Sigi Spa che si basa sul modello dell’azionariato diffuso in stile Lecce. Lei cosa ne pensa?
“Nella città etnea si deve ricreare l’entusiasmo che si vede adesso a Palermo. Vedo positivamente la forma dell’azionariato diffuso che sopperisce alla mancanza di grosse famiglie imprenditoriali. Sono assolutamente d’accordo: tutte le forze positive se si uniscono hanno la possibilità di formare una società forte, che sia in grado di sostenere un club. Spero che la Sigi abbia successo”.
Presidente, considerato il contesto economico, possono gli imprenditori siciliani dare forza a questo rilancio o sono necessari capitali esteri? E in questo secondo caso, la Sicilia, è appetibile a livello internazionale?
“I capitali esteri sono ormai diffusi in tutta Italia, vedi Inter, Milan, Roma, Bologna per fare alcuni esempi. Per essere attrattivi dobbiamo stare nei piani alti, in Serie A. Non ho preclusione per nessuno, a patto che chi si faccia avanti abbia un progetto serio alle spalle. Gli imprenditori locali, però, devono farcela a portare le società nelle categorie più importanti, poi è senz’altro necessario aprirsi con realtà estere. Avere atteggiamenti per così dire autarchici non è più vantaggioso. Ma per attirare nuovi capitali serve essere appetibili e per diventarlo bisogna stare nei campionati di vertice”.