ROMA – Il riscaldamento climatico arriva nell’aula del tribunale civile di Roma. È già successo in Olanda, Francia e Germania ma ora tocca all’Italia. “Giudizio universale” è il nome evocativo di questa battaglia legale che rivendica giustizia climatica: una causa con 203 ricorrenti.
“L’oggetto della causa civile è la condotta dello Stato che ha compiuto delle scelte, ad avviso dei ricorrenti, inefficaci a contrastare il riscaldamento globale – spiega al QdS l’avvocato degli assistiti, Luca Saltalamacchia -. Questo produce degli impatti che sono sotto gli occhi di tutti, tra tempeste e alluvioni e che minacciano i diritti fondamentali perché provocano morti, distruzione, scarsità di cibo, l’innalzamento del mare e la migrazione delle persone. Questi fenomeni in Italia si cominciano ad avvertire in maniera significativa, basti pensare agli studi dell’Enea sulla pianura padana. Questo porta a una compromissione dei diritti fondamentali. L’oggetto della causa però non è tanto la politica, quanto gli effetti della politica: gli attuali ed inadeguati impegni dello Stato si traducono in una minaccia ai diritti fondamentali. Per questo noi andiamo davanti al giudice civile, perché è lui che controlla se i diritti dei cittadini vengono rispettati o meno”.
“Non è una causa risarcitoria – prosegue Saltalamacchia -, chiediamo al giudice di condannare lo Stato a rimuovere la condotta pregiudizievole dei diritti e quindi a porre in essere una condotta in linea con ciò che dice la comunità scientifica. È una causa nell’interesse di tutti: se vinciamo la causa non vince solo chi ha partecipato ma l’intera popolazione. I ricorrenti sono 203, di cui 24 sono associazioni con A Sud capofila e poi ci sono 179 cittadini, la gran parte italiani ma alcuni stranieri che risiedono in Italia e molti sono anche minori. Diciamo che la composizione è mista. Abbiamo lanciato la causa nel 2021 e il 13 settembre scorso c’è stata l’ultima udienza, il che significa che il giudice emetterà la sentenza a fine anno, massimo a gennaio 2024. Il provvedimento che il giudice emanerà, poi, può essere definitivo o potrebbe fissare una nuova udienza se ha bisogno di nuovi chiarimenti, ma teoricamente la causa dovrebbe essere conclusa”.
L’associazione capofila della campagna legale è A Sud, “una realtà ecologista nata da percorsi di attivismo in America Latina che storicamente assume l’ottica dei sud globali del mondo come lente per ribaltare le piramidi di potere tra nord e sud”, come spiega Marica Di Pierri portavoce nazionale.
“Oggi occuparsi di ecologia significa affrontare le questioni ambientali legandole a quelle sociali: la povertà, la disuguaglianza, i diritti umani e su questi leggiamo l’impatto del cambiamento climatico – continua Di Pierri -. Tutte queste esigenze ormai si riconoscono sotto la richiesta di giustizia sociale. Di fronte all’incapacità e alla mancanza di volontà politica degli Stati e delle imprese, è sorta la necessità di immaginarsi degli strumenti di battaglia per questa lotta contro il tempo. E tra questi, lo strumento legale. La campagna nasce perché in Italia abbiamo deciso di utilizzare questo strumento legale. Nel 2019 siamo partiti e sin da subito abbiamo raccolto più di 100 adesioni: dal movimento studentesco a Fridays for Future fino alle associazioni ambientaliste ma anche la società scientifica con medici per l’ambiente e l’associazione italiana dei meteorologi. La campagna ha avuto prima una strategia comunicativa e poi una legale finché dopo due anni e ,di mezzo, una pandemia globale, siamo arrivati a depositare l’atto di citazione nel 2021”.
“Si tratta di una causa collettiva: ci sono tantissimi minori e questo è molto importante perché si tratta del diritto al futuro – dichiara ancora la portavoce di A Sud -. Con maggiore intensità, dopo la sigla dell’Accordo di Parigi, molti Paesi hanno iniziato a portare in tribunale la causa per chiedere di dichiarare l’esistenza di un’emergenza. Lo strumento legale è una risposta alla mancanza di un’azione efficace: gli Stati si sono impegnati con l’accordo di Parigi a ridurre le emissioni ma non lo stanno facendo. Quindi portarli in tribunale è uno strumento in più”.
“A Sud” nel frattempo ha in cantiere a Palermo il “Climate justice living lab”: un progetto nell’ambito del bando Erasmus+ per costruire un portale di scambio tra esperti e mondo accademico sulla formazione giuridica in materia di giustizia climatica. “Dall’idea che anche il diritto possa essere uno strumento per avanzare verso politiche climatiche più efficaci, è nata l’idea con il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo di presentare questa proposta alla commissione europea nell’ambito del bando Erasmus+ che si chiama, appunto, ‘Climate justice living lab’ per sperimentare un percorso formativo sugli strumenti legali relativi al cambiamento climatico – prosegue Di Pierri -. Il progetto è rivolto agli studenti di giurisprudenza ma anche, nell’ottica della trasversalità, ad avvocati e giudici che, viste le evoluzioni, hanno bisogno di formazione in materia; oltre loro anche attivisti e giornalisti. Attraverso il centro di sostenibilità e transizione ecologica di Ateneo (Cste), un centro interdipartimentale, l’Università di Palermo è capofila del progetto. Il coordinatore è il professore Nicola Gullo, ordinario di diritto amministrativo e diritto ambientale e noi di A Sud siamo partner, poi ce ne saranno altri – tra cui l’università di Mariupol – che collaboreranno nei prossimi tre anni per creare un curriculum di studi sulla giustizia climatica”.
“In qualche modo Palermo si candida a diventare un polo di riferimento in Europa dal punto di vista accademico sulla giustizia climatica – conclude – ed è molto importante che questo avvenga a Palermo, città particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici”.