Inchiesta

Comuni insostenibili, Sicilia bocciata ancora

PALERMO – Bocciati su tutta la linea i comuni capoluogo isolani dagli ultimi dati Istat relativi alla performance ambientali. Dall’illuminazione pubblica agli acquisti verdi passando per i piani regolatori e la certificazione comunitaria, non ci sono passaggi virtuosi, salvo qualche timida eccezione. Lo dicono i dati Istat sull’eco management aggiornati al 2017. Il futuro è nei finanziamenti regionali e nei Paes che possono aprire le nuove vie sostenibili.

ILLUMINAZIONE PUBBLICA STRADALE ALL’ANTICA
Spicca Palermo tra le città col maggiore numero di punti luce di illuminazione pubblica stradale. Il capoluogo detiene 47.264 punti, tra questi solo 1 è fotovoltaico (unico caso tra i comuni capoluogo siciliani), stando ai dati aggiornati al 2017, e ben 24.150, quindi più della metà, sono con lampade a incandescenza o ai vapori di mercurio. Soprattutto quest’ultime sono le meno sostenibili dal punto di vista energetico se consideriamo che dal 2015 l’Unione Europea ne vieta l’utilizzo (regolamento CE n. 245/2009). Solo 385 sono quelli a LED. La situazione non migliora negli altri centri: a Messina 11 mila su 28.500 punti luce sono della tipologia di più antica (2 mila con LED e 1.250 con regolazione programmata), a Ragusa sono 4 mila su un totale di 14.770. Bene Trapani, con circa 10 mila punti luce con LED che coprono il fabbisogno cittadino, e anche Agrigento (10 mila su 13 mila), Catania (29.400 su 32.222).

ACQUISTI VERDI: COMUNI DORMIENTI
I criteri ambientali minimi garantiscono gli acquisti sostenibili effettuati nel nome dell’economia circolare. Si tratta di quei requisiti ambientali per le “varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato”. Le amministrazioni siciliane, anche da questo punto di vista, risultano parecchio pigre.

Spicca, nel 2017, soltanto il comune di Palermo che ha applicato i cam negli acquisti di apparecchiature elettroniche per ufficio, negli arredi, per la carta, per le cartucce per stampanti, per la pulizia e i prodotti per l’igiene, mentre tutto il resto delle amministrazioni pubbliche, pur avendo effettuato degli acquisti, non sempre ha proceduto nel nome della sostenibilità ambientale. Nel resto del Paese sono tantissime le realtà che hanno proceduto, nella maggior parte dei casi e a volte in tutti, all’acquisto tramite Cam: Alessandria, Aosta, Genova, Verbania, Torino, Brescia, Pavia, Bolzano, Vicenza, Padova, Reggio Emilia, Ferrara.

CERTIFICATI AMBIENTALI: ENTI ISOLANI A ZERO
L’Emas, acronimo di eco-management and audit scheme, non è una certificazione obbligatoria per aziende ed enti pubblici anche se è utile, in ambito comunitario, per valutare e migliorare le prestazioni ambientali, così come spiega l’Ispra, e fornire “alle organizzazioni, alle autorità di controllo ed ai cittadini (al pubblico in senso lato) uno strumento attraverso il quale è possibile avere informazioni sulle prestazioni ambientali delle organizzazioni”. In tutta Italia ce ne sono poco meno di un migliaio (985) contro le 1.059 che si erano registrate nel 2014. Una contrazione che comunque si registra pressoché ovunque tranne che in Lombardia, passata da 185 a 215 (13 le amministrazioni comunali che l’hanno ottenuta) tra il 2014 e il 2017. Per la Sicilia è notte fonda: negli ultimi quattro anni dello studio nessuna amministrazione pubblica l’ha ottenuta, e nell’ultimo anno in considerazione (2017) ci sono appena 12 realtà che l’hanno avuta (tutte aziende). Si tratta di uno dei peggiori risultati d’Italia, inferiore a quanto totalizzato altrove in un’unica città: Milano arriva da sola a superare il centinaio (101), Parma a 39, Bologna a 53, Roma a 48.

PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ASSENTE
Ai comuni capoluogo mancano anche quegli strumenti di gestione del territorio che sono gli strumenti urbanistici generali. Il più giovane è quello del comune di Enna che comunque risale al 2011, il più vecchio è quello di Catania che addirittura è del 1969. In mezzo ci sono tutti gli altri: Palermo e Messina nel 2002, Ragusa nel 2003, Caltanissetta nel 2005, Siracusa nel 2007.

L’OPPORTUNITÀ DEI PAESC
Qualcosa eppure si muove. Oltre alle opportunità lanciate dalla Regione per la redazione dei piani di azione dell’energia sostenibile e il clima, ad esempio con i bandi per assumere gli energy manager nei comuni (la Circolare 1/2018 ha approvato le modalità attuative del “Programma di ripartizione risorse ai comuni della Sicilia per la redazione del Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima”), lo scorso marzo è stato finanziato, tramite provvedimento regionale, il contributo di circa 82 mila euro a favore del Comune di Palermo per la redazione del Paesc, un piano approvato dal consiglio comunale del 2015 che impegna l’amministrazione a ridurre le emissioni di gas serra della città del 21,5% entro il 2020. Sempre nello stesso periodo, il Consiglio comunale aveva approvato l’adesione al nuovo Patto dei Sindaci che impegna i comuni al coinvolgimento delle comunità locali alla realizzazione di iniziative per ridurre nella città le emissioni di Co2, di almeno del 40% rispetto all’anno 1990.

Anche il Comune di Catania, lo scorso gennaio, ha visto il Consiglio comunale approvare l’atto relativo al Paes su cui è stato espresso un atto di indirizzo favorevole alla richiesta e all’utilizzo dei contributi del DDG 908/2018 a favore dell’ente etneo. Un passaggio che segue all’adozione, nel 2015, del Paes da parte del Comune.