Ingressi esclusivamente su prenotazione, sanificazione costante dei locali, mascherine e plexiglass.
Nel 99% dei controlli effettuati prima dell’ultimo Dpcm, palestre e piscine, grazie agli ingenti investimenti sostenuti, sono risultate in regola con le prescrizioni anti-Covid, ma ciò non è bastato a risparmiarle dal lockdown imposto, di fatto, solo ai luoghi definiti “di socialità”, cinema e teatri inclusi, nonostante capannelli di persone siano visibili a ogni angolo della strada, alle fermate dei bus (che possono accogliere solo 8-12 persone), in tribunali e addirittura ammassate fuori dai Centri di analisi, in fila per un tampone (senza che nessuno si preoccupi di temperatura e distanziamento!).
Il decreto del presidente Giuseppe Conte ha travolto nottetempo un settore già in ginocchio dopo mesi di magra. E che farà fatica a rialzarsi solo con gli aiuti stanziati qualche giorno fa dal Decreto “Ristori”: circa 2 miliardi di euro a fondo perduto – da dividere con una larga platea, dai ristoranti alle discoteche – che il Governo promette di girare alle imprese “in tempi record”, entro il 15 novembre. Si vedrà, ma intanto soltanto in Sicilia ci sono 60 mila professionisti del fitness a rischio di perdere il loro posto di lavoro.
Ha avuto senso chiudere un settore che stava rispettando alla lettera le misure imposte? Lo stesso viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, aveva storto il naso in merito all’efficacia di una misura così circostanziata su poche categorie: “Al Cts e all’Istituto superiore di sanità arrivano i dati prodotti dalle Regioni, immagino abbiano tutte le attività di contatc tracing che consentano di capire dov’è l’origine del contagio e stabilire i rischi stimati (…) io non li ho visti”.
Al netto degli aiuti, palestre e piscine, che faticosamente iniziavano a vedere una luce in fondo al tunnel, si ritrovano di nuovo in piena emergenza. “Prima della conferenza stampa del presidente Conte, in cui annunciava il suo prossimo decreto, in Sicilia le palestre avevano già subito un calo di fatturato tra il 40 e il 65%. Dopo le parole del premier è crollato fino all’85%”. È amarissimo il commento di Germano Bondì, presidente dell’Anif Sicilia nonché vicepresidente nazionale della stessa associazione, che rappresenta palestre, piscine, impianti e campi sportivi. “In Sicilia – afferma Bondì – ci sono 60mila operatori del settore che rischiano di non lavorare più e per i quali i ristori non potranno mai bastare, diventando un semplice contentino per far ingoiare una pillola troppo amara”
Molti di loro – gestori, istruttori e atleti – oggi, alle 11,30, saranno in piazza Verdi a Palermo contro lo stop imposto dal Governo nazionale. È previsto un flash mob, con i manifestanti che si getteranno per terra come vittime di un plotone di esecuzione, seguiranno degli interventi ma, assicurano gli organizzatori, nessuno di tipo politico. “Chiudere le palestre e le piscine è una ingiustizia – afferma Marco Carrara, presidente e insegnante dell’Asd Pantere taekwondo – perché dalla riapertura, dopo il lockdown, i protocolli sono stati applicati alla lettera, con grandi sforzi da parte di tutti”.
Lockdown, nei fatti, mai finito per molti impianti sportivi, come spiega ancora il numero uno dell’Anif Sicilia che fa un conto preciso: “Dura da quasi 9 mesi. Prima il lockdown generale di marzo; poi il recupero degli abbonamenti dei clienti per 75 giorni; poi la stagione estiva che notoriamente rappresenta un periodo di magra per i gestori degli impianti sportivi; inoltre, le mancate iscrizioni di settembre e di ottobre – mesi che rappresentano il periodo di maggiore incasso per tutti i centri sportivi – a causa della paura di possibili contagi o di acquistare un abbonamento non fruibile a causa delle ventilate chiusure; e adesso, la nuova chiusura totale”.
Una misura che fa rabbia, soprattutto perché, continua Bondì, “è il risultato di una gestione fallimentare dello stato emergenziale. Sono stati rifiutati i 37 miliardi del Mes che sarebbero potuti servire per il potenziamento delle strutture sanitarie”. Intanto si cerca una sponda su cui aggrapparsi alla Regione: “Abbiamo interloquito con il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, e con l’assessore allo Sport e al Turismo, Manlio Messina – conclude Bondì -. Abbiamo partecipato alla stesura del ddl regionale e speriamo che possa essere approvato in assemblea, così da dare nuovi ristori al settore”.
Un disegno di legge, già presentato in aula, in cui crede anche lo stesso assessore Messina che, intervistato del Quotidiano di Sicilia, definisce il Dpcm di Conte come “fortemente penalizzante per tutto il comparto dello sport, il quale si è messo in regola e poi ha dovuto chiudere i battenti”.
“Siamo già intervenuti – continua Messina – mettendo in campo per il settore da 6 a 8 milioni di euro, ma c’è una fascia che non ha ricevuto alcun aiuto e sulla quale bisognerà intervenire. Però dal mondo dello sport e della cultura non sembrano esserci stati contagi e tenterò di far riaprire palestre, cinema e teatri, pur nel rispetto delle restrizioni che questi hanno sempre osservato durante i mesi scorsi – come il controllo ferreo all’ingresso e all’uscita dell’utenza, la prenotazione preventiva per non superare la capienza massima consentita, la misurazione della temperatura, la mascherina -. Per questa ragione la chiusura mi sembra illogica”.
La curva epidemiologica in Sicilia continua a destare grandi preoccupazioni, ma secondo l’assessore servirebbe una maggiore autonomia regionale anche in questa nuova fase dell’emergenza: “Speriamo che i contagi non continuino il loro esponenziale incremento di questi giorni, altrimenti ci sarà ben poco da fare – aggiunge -. Bisogna tenere la curva sotto controllo, ma al momento l’Isola non è nelle stesse condizioni sanitarie della Lombardia o della Campania. Dunque chiediamo di avere maggiore autonomia per rendere proporzionate le misure restrittive da adottare. Fermo restando che se la curva continuerà a crescere, tutti dovremo fare un passo indietro”.
Parla Marco Pantellaro, socio Altair Club Catania, “Perso il 50-60% degli iscritti, aiuti insufficienti”
A trovarsi in cattive acque persino le realtà imprenditoriali più autorevoli del comparto. Come l’Altair Club di Catania che ha subito un calo del 50-60% degli iscritti, pur avendo ampiamente investito per rendere sicuri i propri ambienti.
“Oltre al recupero degli abbonamenti non fruiti durante il lockdown, abbiamo dovuto affrontare la paura di coloro che non sono rientrati, malgrado gli ingenti investimenti che abbiamo fatto nelle nostre strutture per la prevenzione dei contagi. Abbiamo registrato un calo che varia dal 50 al 60% – racconta Marco Pantellaro, socio del gruppo Altair club di cui si fa portavoce -. Le nostre spese per la continua igenizzazione e per l’intensificazione delle pulizie sono iniziate a maggio e hanno comportato costi di gestione elevati. La successiva infelice dichiarazione del premier Conte del 18 ottobre, in cui ha minacciato la chiusura dei centri sportivi qualora non si fossero adeguati alle restrizioni, ha scatenato i controlli delle forze dell’ordine che hanno dimostrato poi che il 99% degli impianti fosse in regola. Anche questo ha comportato un’ulteriore riduzione dei potenziali iscritti e dei rinnovi degli abbonamenti”.
A fronte della crisi, nemmeno l’Altair club avrebbe ricevuto un sostegno economico adeguato per affrontare le spese necessarie: “Ci sono stati degli aiuti da parte del governo nazionale che non sono stati comunque sufficienti, visti i mancati incassi e l’aumento delle spese, e aspettiamo ancora degli aiuti dal governo regionale. I nostri istruttori hanno ricevuto nel periodo di chiusura un bonus e i dipendenti sono stati messi in Cassa integrazione, provvedimenti a oggi insufficienti. Ci auguriamo vivamente di ricevere un aiuto concreto e di poter ripartire – aggiunge Pantellaro -. Potrebbe essere una buona idea incentivare il settore con voucher per l’attività fisica, com’è stato fatto per il bonus vacanze o il bonus mobilità elettrica. Ma serve soprattutto un’erogazione di fondi perduti”.
Graziano Falzone, presidente Accademia del combattimento, “800 euro? Non bastano neanche per l’affitto”
Gli sport maggiormente penalizzati dall’emergenza sanitaria – e dalle restrizioni che ne sono derivate – sono stati quelli in cui il contatto fisico si rende necessario per l’attività stessa, come le arti marziali. A spiegarlo è Graziano Falzone, presidente dell’associazione sportiva dilettantistica Accademia del Combattimento e campione mondiale di full contact, che ha dovuto cambiare in pochi mesi protocolli di sicurezza differenti per rispettare i vari Dpcm.
“Durante il lockdown abbiamo avuto grandissime difficoltà, perché solo i collaboratori hanno potuto percepire il magro indennizzo previsto. Ma nel rispetto dei nostri clienti abbiamo riaperto, per consentire loro il recupero degli abbonamenti sospesi – racconta Falzone -. Ci siamo attenuti a tutti i protocolli di sicurezza di volta in volta diversi: prima ci è stato negato lo sport da contatto, così ci siamo dedicati alle attività di potenziamento; poi abbiamo potuto reintrodurre il contatto, ma evitando gli assembramenti e svolgendo lezioni a pochi utenti per sessione; poi sono arrivati i nuovi protocolli e abbiamo dovuto eliminare nuovamente il contatto fisico; alla fine, siamo stati costretti alla nuova chiusura”.
Il nuovo stop non è stato un fulmine a ciel sereno per il presidente: “Ce lo aspettavamo. Ma credo che il Governo non possa comprendere come chiudendo la nostra palestra abbia fermato anche tutto l’indotto, dagli addetti alle pulizie ai progetti esterni che coinvolgevano bambini di due comunità che attendevano di svolgere le loro lezioni – continua -. Il nostro Governo giudica la mia attività ‘non essenziale’, ma per me lo è, perché ho impiegato una vita per metterla su. Adesso dovrebbero arrivare 800 euro, però non basteranno nemmeno per pagare metà dell’affitto di un mese”.