di Antonio Leo e Rosario Battiato
CATANIA – La pasquetta che ci siamo appena lasciati alle spalle è stata probabilmente la più quieta e “pulita” di cui si abbia memoria in Sicilia. Le strade, di solito intasate di auto strombazzanti in clima di festa, sono rimaste “mute” tutto il giorno. Un silenzio rotto da qualche sporadico schiamazzo, da un elicottero, dal passaggio di una moto solitaria o dalla radio forse un po’ troppo molesta di qualche vicino. Un paesaggio surreale che, però, porta con sé anche qualcosa di buono. Dalle finestre, dai balconi e, per i più fortunati, dalle terrazze e dai giardini non solo si è potuto godere di una splendida giornata di sole. Liberi dalle mascherine, c’è un altro aspetto che forse non siamo più abituati a considerare: l’aria che respiriamo.
A più di un mese dall’inizio delle restrizioni per contenere la diffusione del coronavirus, la cappa di smog che di solito attanaglia gli agglomerati urbani è quasi del tutto scomparsa. Non è soltanto una sensazione. I primi indizi sono arrivati già nelle scorse settimane attraverso le immagini di Sentinel 5, satellite del programma europeo Copernicus (gestito da Commissione Ue ed Esa), che ha preso in considerazione soprattutto il Nord Italia. Qui la nube rossa di biossido di azoto – un gas nocivo emesso dai combustibili fossili, in particolare da veicoli e motori e dalle strutture industriali – si è andata via via diradando. Una riduzione di circa il 50%, come poi ha confermato qualche giorno dopo il Sistema nazionale di protezione ambientale.
Un toccasana soprattutto per i centri cittadini della pianura padana, dove i livelli di inquinamento sono tra i più alti nel Vecchio Continente, tanto da costare all’Italia il primato comunitario in termini di morti premature. L’Agenzia europea per l’ambiente (Aea) stima che ci siano circa 15 mila vittime ogni anno a causa del biossido di azoto, 3 mila per l’ozono e addirittura quasi 60 mila a causa del particolato fine (il Pm 2,5). Una strage silenziosa di cui si parla poco, ma a causa della quale il Paese deve fare i conti con diverse procedure di infrazione aperte da Bruxelles.
La Sicilia non è esclusa, essendo coinvolta nella procedura 2014/2147 per il superamento dei valori limite di Pm10 e nella 2015/2043 dove è sotto accusa per le concentrazioni “fuorilegge” (violata la direttiva 2008/50/CE) del già citato biossido (ma sarebbe più corretto dire diossido) di azoto.
Ovviamente nelle nostra regione non ci sono criticità paragonabili a quelle di Milano e dintorni, ma occorre fare una distinzione tra aree urbane e industriali. Dai primi dati dell’Arpa Sicilia, l’Agenzia regionale di protezione dell’ambiente che tra l’altro si occupa di monitorare la qualità dell’atmosfera isolana, si nota come nelle città ci sia stata, con valori in linea al resto del Paese, una netta riduzione delle sostanze inquinanti. “Nelle aree urbane – ci anticipano dall’Agenzia che nei prossimi giorni presenterà un rapporto dettagliato – contribuiscono molto gli ossidi di azoto e il benzene, che sono tipici degli autoveicoli. Quelli si sono veramente abbassati, in alcuni casi abbiamo registrato una riduzione superiore al 50%”.
Un taglio netto alle emissioni che si spiega in parte andando ad analizzare il parco auto dell’Isola, dove secondo gli ultimi dati “Autopromotec-Aci” circolano 3,3 milioni di auto, di cui solo poche centinaia elettriche e qualche migliaio ibride. Per fare un esempio, a Catania la quota a standard emissivo Euro 0 (la più inquinante) riguarda un’auto su cinque (in tutta l’Isola la media è del 15%), mentre tra euro 0 e euro 3 si trova più del 50% del totale.
Diversa, invece, è la situazione nelle aree industriali. Qui non è cambiato nulla o quasi. “Nose”, l’app di Arpa Sicilia che permette ai singoli utenti di segnalare le molestie olfattive generate perlopiù da impianti industriali e discariche, ha registrato un picco di segnalazioni (ben 81) tra il 25 e il 26 marzo, di cui la stragrande maggioranza (75) provenienti da Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa. Idrocarburi, zolfo e solventi tra i lezzi più forti che hanno provocato nei cittadini alcuni malesseri, tra cui principalmente mal di testa, difficoltà di respiro e bruciore alla gola. “Dopo aver ricevuto le segnalazioni, abbiamo subito capito da dove proveniva il cattivo odore. Abbiamo così inviato i nostri tecnici a controllare l’azienda, individuando il problema”, precisano dall’Arpa.
Seppure, dunque, resta il problema delle emissioni prodotte dagli stabilimenti produttivi, in particolare dall’industria pesante, le restrizioni anti-Covid hanno di fatto reso evidente, e non solo in Sicilia e in Italia, che è questa la strada da seguire se si vuole salvare il Pianeta. Le immagini di acque cristalline e di cieli insolitamente azzurri arrivano da tutto il mondo, anche da zone altamente inquinate come l’India, dove – ha scritto il New York Times – si respira finalmente un’aria pulita senza più quel “forte sapore di fumo e metallo”.
La fase due, per guidare la quale il Governo ha scelto un gruppo di super esperti con a capo l’ex amministratore delegato di Vodafone Vittorio Colao, è la grande occasione per un futuro sostenibile, a partire dalla mobilità. “Nell’Isola occorre investire sui mezzi pubblici, in particolare su rotaia con l’aumento delle tratte dei treni, così da eliminare sempre più le auto”, afferma Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia. “La riduzione del trasporto su gomma sta portando enormi benefici – prosegue – è la strada giusta anche perché, come dimostrano diversi studi, il virus ha trovato terreno fertile proprio nelle zone più inquinate della Terra, a partire dalla Cina e dalla valle padana”.
Indietro non si dovrebbe tornare, insomma. “Quello che noi come Legambiente auspichiamo – aggiunge Zanna – è che questa pandemia ci serva da lezione e ci insegni ad adottare nuovi stili di vita. Il Pianeta ha bisogno di un cambiamento epocale, abbiamo raggiunto quasi il punto di rottura. Ricominciamo in modo graduale, rispettando le indicazioni che vengono dal mondo scientifico, ma senza riprendere le vecchie e dannose abitudini di due mesi fa”.
Una mano per mitigare il ritorno alla ex “normalità” potrebbe arrivare dall’incentivazione dello smart working, che molte aziende hanno giocoforza sperimentato nelle ultime settimane, con buoni risultati. “È vero, ma non dimentichiamo – avverte il presidente siciliano dell’associazione del Cigno – che il Sud paga un prezzo salatissimo a causa della scarsa diffusione di fibra e altre tecnologie indispensabili per il lavoro e per la scuola. Siamo fortemente arretrati, occorre recuperare questo scarto”.
Antonio Leo
Quella sottile linea rossa tra smog e incremento della letalità del virus
Le persone risulterebbero indebolite dall’esposizione prolungata allo smog
PALERMO – A salvare la Sicilia da una diffusione esagerata del contagio, e dalla relativa mortalità, potrebbe essere stata la minore presenza di emissioni rispetto all’area Padana. Lo mettono in evidenza alcuni studi che hanno analizzato il ruolo dell’inquinamento come fattore di indebolimento per chi ha contratto la malattia e come vettore di diffusione. Si tratta di ipotesi ancora al vaglio che però evidenziano ancora una volta la necessità di politiche sostenibili per l’aria al fine di rendere migliore la qualità della vita. La Sicilia, pur avendo emissioni inferiori rispetto a tante regioni, ha sul capo due procedure di infrazione per inosservanza delle direttive europee sulla qualità dell’aria, e si trova ancora in ritardo sul fronte della mobilità sostenibile.
LO STUDIO
Una ricerca pubblicata sulla rivista Environmental Pollution e condotta tra Università di Siena e Aarhus in Danimarca rispettivamente da Bruno Frediani e Edoardo Conticini, e da Dario Caro, ha rilevato come la presenza dell’inquinamento potrebbe essere correlata alla elevata mortalità da coronavirus nel Nord Italia. L’indicatore della mortalità in Italia, infatti, è del 4,5%, un dato assai più contenuto di quello registrato in Lombardia ed Emilia Romagna, che risultano essere tra le regioni maggiormente colpite.
Gli esperti hanno valutato i livelli di inquinamento nelle diverse regioni italiane utilizzando i dati del satellite Nasa Aura e sostengono che, dati gli elevati livelli nelle due regioni, possa essere probabile che le persone che hanno contratto il virus fossero già indebolite dall’esposizione prolungata allo smog e pertanto l’inquinamento può essere considerato un co-fattore che contribuisce ad aggravare la malattia.
Gli studiosi, all’interno del lavoro, forniscono evidenze in relazione al fatto che le persone in “aree con elevate livelli di inquinamento sono più suscettibili a sviluppare malattie respiratorie croniche e vulnerabili a qualsiasi agente infettivo”. Inoltre, specificano che “un’esposizione prolungata ad inquinamento atmosferico porta a infiammazione cronica, anche in individui giovani e sani”.
Date queste premesse, la conclusione dei ricercatori, pertanto, risulta abbastanza ovvia: “gli elevati livelli di inquinamento del Nord Italia dovrebbero essere considerati un co-fattore aggiuntivo degli alti livelli di letalità in quell’area”. Ovviamente non bisogna dimenticare che esistono altri fattori a poter incidere sullo svolgimento dell’epidemia come l’elevata età media della popolazione, le ampie differenze di organizzazione dei sistemi sanitari regionali, la capacità dei reparti di terapia intensiva, la tempistica nel riportare i nuovi casi e i decessi hanno avuto un ruolo notevole presumibilmente maggiore dell’inquinamento.
L’EMERGENZA CONTENUTA
Alla fine di marzo Marco Trapanese, docente della Facoltà di Ingegneria di Palermo, aveva sostenuto, nel corso di un’intervista a un quotidiano regionale, la differente modalità di propagazione del virus nelle zone di mare rispetto a quelle industriali. Tra le tante riflessioni interessanti, si faceva riferimento, sulla base dell’utilizzo di un modello matematico per il calcolo dello sviluppo di un’epidemia, al minore impatto dei contagiati a Palermo rispetto all’Italia e alla Lombardia (rispettivamente 10 e 100 volte in meno considerando i casi per unità di persone) mentre a Catania l’inquinamento avrebbe avuto un impatto più importante, almeno rispetto alla Sicilia, perché maggiormente industrializzata, con un aeroporto più vicino alla città e con le emissioni dell’Etna. Proprio nei giorni scorsi, il professore ha presentato sul proprio blog uno studio accademico dell’Associazione di Medicina Ambientale, dell’Università di Bologna e dell’Università di Bari che collega aria malata ed epidemia.
IL PARTICOLATO COME VETTORE
La “Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione” è stata redatta da una decina di ricercatori di Sima (Società italiana di medicina ambientale) e degli Atenei di Bologna e di Bari. Nello studio si fa riferimento alle curve di espansione dell’infezione nelle regioni che “presentano andamenti compatibili con i modelli epidemici per le regioni del sud Italia mentre mostrano accelerazioni anomale proprio per quelle ubicate in Pianura Padana in cui i focolai risultano particolarmente virulenti e lasciano ragionevolmente ipotizzare una diffusione mediata da carrier ovvero da un veicolante”. Questi effetti di impulso vengono definiti boost e sono concomitanti con la presenza di elevate concentrazioni di particolato atmosferico. Tutto questo sembrerebbe dimostrare che, in relazione al periodo 10-29 Febbraio, Econcentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo”.
Rosario Battiato