A pochi mesi dalla conclusione della legislatura al Parlamento europeo, il deputato trapanese Ignazio Corrao fa il punto sulla sfida lanciata a inizio mese con un evento organizzato a Bruxelles, nel cuore delle istituzioni continentali. A prendere parte all’iniziativa sono stati esponenti del mondo accademico, culturale e artistico della Sicilia. Unanimi l’interesse a tutelare patrimonio linguistico dell’isola e l’impegno per far sì che si sia trattato soltanto di un primo passo di un percorso che continuerà a vedere protagonista lo stesso Corrao, che – dopo un decennio da parlamentare, prima con il Movimento 5 Stelle e poi da indipendente all’interno del gruppo dei Verdi/Ale – in questa intervista al Qds si dice pronto a tornare a vestire i panni del comune cittadino. “Non sono cambiato rispetto a dieci anni fa, anche senza incarichi pubblici si può continuare a portare avanti le proprie battaglie politiche”.
Corrao, da dove è nata l’idea di portare nel cuore delle istituzioni europee il tema della tutela del siciliano?
“Nasce dalla consapevolezza sempre più forte che il siciliano sia stato per anni bistrattato, deriso, calpestato, relegato a un immaginario di ignoranza o criminalità. Sentivo però che qualcosa stava cambiando e ho scoperto che c’era un universo di persone che si dedicava da una vita alla tutela del siciliano. Ecco, ho voluto assecondare questo forte sentimento condiviso, mettere insieme per la prima volta le tante personalità che se ne occupano a vario titolo e lanciare una grande sfida: avviare finalmente un percorso comune”.
I linguisti presenti all’evento hanno rimarcato come parlare di dialetto siciliano non sia un’offesa. Lei è più propenso a definirla lingua o dialetto?
“Il nostro evento si intitolava La lingua siciliana, perché si voleva mettere in evidenza la valenza storica-culturale del siciliano, tuttavia sappiamo bene che il mondo accademico è più propenso a definirlo dialetto. La questione della definizione del siciliano è annosa e ci sono diverse sensibilità in merito che si sono confrontate. Lo scopo di questa iniziativa e del percorso intrapreso, però, è del tutto nuovo: superare una volta per tutte le questioni divisive, talvolta di lana caprina, che alimentano antiche faide. Occorre mettere da parte dispute inutili e puntare insieme sugli obiettivi comuni. Ecco perché a Bruxelles abbiamo presentato un Manifesto che va in questa direzione”.
Per tutelare il patrimonio linguistico non basta la buona volontà, servono anche investimenti. Quali sono le strade da percorrere sul fronte istituzionale? È un tema che deve interessare solo la Regione o anche lo Stato?
“Innanzitutto, a livello regionale, occorre l’attuazione della legge 9 del 2011 con riferimento alla valorizzazione e all’insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole. A livello nazionale invece occorrerà individuare un’adeguata soluzione normativa, considerato che le norme nazionali hanno escluso il siciliano dalla tutela linguistica. E poi c’è un’altra miriade di iniziative, ben sintetizzate nel Manifesto, che man mano porteremo avanti, sia a livello regionale che nazionale”.
A Bruxelles era presente l’assessore regionale all’Istruzione Mimmo Turano. Ha preso un impegno davanti alla platea. Cosa vi aspettate di concreto?
“Adesso bisogna condividere il percorso con tutte le forze parlamentari dell’Ars e coinvolgere il governo regionale. Per questo sto organizzando un altro evento importante, questa volta in Sicilia. Turano, dal canto suo, ha garantito che si troveranno le risorse adeguate per una serie di misure a supporto della tutela del nostro patrimonio linguistico, soprattutto nelle scuole”.
In un mondo globalizzato, spesso si pensa che bisogna imparare le lingue che consentono di creare ponti con chi vive lontano da noi. Inglese, cinese, arabo. La difesa del siciliano è un modo romantico per custodire il passato o può avere un futuro nella promozione dell’isola?
“Può averlo, sì. Qui non si tratta di una velleità folkloristica o di nostalgica memoria del passato che fu, ma di un’azione concreta, ragionata, tangibile e visionaria di valorizzazione del nostro patrimonio culturale, storico, musicale, gastronomico, paesaggistico, artistico attraverso il mezzo della nostra straordinaria lingua. Senza perdere di vista il contesto multiculturale e globalizzato in cui siamo immersi. Il siciliano è un valore aggiunto, un prezioso strumento della nostra identità culturale, non uno schermo cieco nei confronti del mondo”.
L’evento è stato organizzato a cinque mesi dalla chiusura della legislatura. È stato un modo per accomiatarsi dopo dieci anni da eurodeputato o pensa a una ricandidatura?
“Sulla ricandidatura, così come tante battaglie di principio che ho portato avanti, non ho cambiato idea rispetto a quel che dicevo dieci anni fa, quando mi sono candidato per la prima volta in vita mia. So che darò un dispiacere sia ai malpensanti che vedono sempre un secondo fine in ogni azione, sia alle tante brave persone con cui ho lavorato in questi anni che mi esortano a continuare. Ho sempre detto che la politica è una passione e un servizio e non si può operare bene se la propria proiezione è quella di restare sempre nel protetto e privilegiato mondo dei palazzi. È necessario tornare a vivere da basso i problemi che si vuole provare a risolvere, per essere credibili nel proprio operato. E poi si può continuare a far politica, a mettere insieme idee e persone, a condurre battaglie politiche, pure senza incarichi pubblici, da privato cittadino”.