“Smettete di lavorare perché ce la prendiamo con voi. Smontate. Gli dici che scenda a Cibali a questo malandrino”. Tre uomini nella tarda primavera del 2022 si presentano in un cantiere di Catania. Agli operai intimano di interrompere i lavori. Nelle loro intenzioni si tratta del primo atto della lezione da impartire alla persona interessata alle opere in costruzione. La stessa che, in mattinata, aveva schiaffeggiato un residente del posto senza motivo.
La vicenda, ricostruita nelle carte dell’inchiesta Ombra della Dda di Catania, si svolge in uno dei quartieri periferici e ha come protagonisti alcuni esponenti della famiglia Santapaola-Ercolano. I tre, forti della propria appartenenza alla criminalità organizzata, avevano raccolto la richiesta d’intervento da parte della vittima dell’aggressione. Tutto fila liscio – si fa per dire – finché la situazione si capovolge: “Dobbiamo fare un passo indietro. Tutto a posto, finiamola lì”, ragionano i tre quando ancora deve farsi sera.
Il motivo del repentino ripensamento è semplice: i tre avevano appena realizzato di essersela presa con Francesco Russo, colui che, secondo i magistrati, da lì a poco sarebbe diventato il reggente di Cosa nostra nella provincia di Catania.
Il ritratto che emerge di Francesco Russo dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla giudice per le indagini preliminari Marina Rizza è quello di un personaggio vicinissimo agli eredi delle famiglie Santapaola ed Ercolano, e per questo – pur in assenza di un diretto legame di sangue – meritevole di ricevere nelle proprie mani il timone. Russo, 51 anni, ha infatti dalla sua l’amicizia con Francesco Napoli, “colui che parla per la famiglia” e che fino al settembre 2022 terrà le redini della cosca. Sarebbe stato proprio l’arresto di Napoli nell’inchiesta ribattezzata Sangue blu, per via dei legami di parentela con gli Ercolano, ad aprire a Russo la strada verso la reggenza. Ma già prima il suo spessore era arrivato all’orecchio di Salvatore Iudicello, Carmelo Strano e Francesco Cacia, i tre che a giugno avevano fatto irruzione nel cantiere per difendere le ragioni di un uomo che vantava la conoscenza di Salvatore Ercolano. “Durante un incontro si comprendeva come l’aggressore dovesse identificarsi in Russo, indicato come la spalla di Ciccio Napoli – si legge nell’ordinanza –. Dal contenuto del dialogo emerge come Russo, venuto a conoscenza dell’irruzione al cantiere da parte di Iudicello e degli altri sodali, avesse interessato Napoli”. A quel punto ai tre non rimane altro da fare che chiedere alla vittima di presentarsi direttamente da Salvatore Ercolano e garantire che il torto subito in realtà non era poi qualcosa su cui perdere troppo tempo. “Stasera vai da Salvuccio, gli spieghi la situazione”, è il consiglio che arriva all’uomo.
Passano meno di quattro mesi e Iudicello e Strano – tra le persone finite in carcere in seguito al blitz della polizia – si trovano a ragionare del futuro della famiglia dopo l’arresto di Napoli. Il pensiero va subito a Francesco Russo: “È il prossimo Papa, diciamo. Lo vogliono fare, lui camminava con Ciccio, capito?”
Ma nonostante per gli inquirenti Russo abbia avuto un ruolo soprattutto strategico – “sopra lui c’è solo lo zio Nitto (Santapaola, ndr) ed Enzo il grande (Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto, ndr), commentavano i sodali – e per questo fosse interessato a mantenere “una posizione defilata e riservata all’interno del clan”, il 51enne anche di recente si sarebbe reso protagonista di vicende eclatanti. È il caso di un’aggressione a cui, nel 2023, avrebbe partecipato anche il figlio Diego, nei confronti del quale sono scattati i domiciliari, all’interno del parcheggio del centro commerciale I Portali di San Giovanni la Punta. Russo, il figlio e Valerio Pelleriti (anche lui arrestato) sono accusati di avere picchiato con una mazza da baseball e gambizzato un uomo protagonista di uno screzio con una persona da loro conosciuta.
Accanto a estorsioni, azioni di recupero crediti tramite la violenza e soprusi di diverso tipo, nell’inchiesta trovano spazio anche due episodi in cui gli appartenenti ai Santapaola-Ercolano tentano di tracciare una linea di demarcazione tra la famiglia che a Catania rappresenta Cosa nostra e gli altri clan attivi in città.
L’episodio più significativo ha come protagonista un piccolo imprenditore che, sulla scorta della conoscenza personale che lo lega a uno degli esponenti, chiede di essere affiliato. L’ultima parola, però, sarebbe spettata a Salvatore Ercolano, definito il “dirigente generale”. All’aspirante mafioso, che ammette di volersi legare alla cosca per non subire più angherie, viene fatto presente che entrare nei Santapaola-Ercolano avrebbe un significato particolare. “Non siamo gente che ci uniamo… spacchiamento”, viene spiegato all’uomo. “Noialtri lavoriamo tutti, però se qualcuno ci suca la minchia, siamo i più forti. Siamo per dire quei dieci, quei quindici, ma siamo quelli giusti”.
Ed è forse per tale autorevolezza che la famiglia Santapaola-Ercolano nell’estate 2020, quando a Librino deflagrarono le tensioni tra Cursoti Milanesi e Cappello, portando a un conflitto a fuoco con due morti e diversi feriti, venne interpellata per la possibilità di fare da paciere tra le parti. Le trattative, tuttavia, non andarono in porto anche per il timore, da parte di alcune dei soggetti contattati, di finire coinvolti in un’indagine. “Tu prendi un’associazione (l’accusa di associazione mafiosa, ndr) perché gli mettono: ‘Si evince che il signor Iudicello voleva sistemare questa situazione’. Non ti salva neanche il tribunale della libertà”.