Pezzi di Pizzo

Cuffaro Quo vadis?

Salvatore Cuffaro, al secolo Totò, secondo solo al Principe De Curtis, è definitivamente riabilitato.

In sintesi è candidabile. La notizia è intellegibile per chiunque, amici e nemici, simpatizzanti, tanti, antipatizzanti, tanti pure loro. Cuffaro è l’antico Giano, stelle e polvere, della Sicilia, facce di una medaglia che gira e si alterna al cospetto di Kronos. Salvatore Cuffaro detto Totò, alias Vasa Vasa, che fortuna e sfortuna gli portò, personifica la storia di una delle principali parabole, le sintesi con cui si esprime il Vangelo, di una terra dolce e amara.

Lui è l’ultimo dei moichani democristiani della prima repubblica, il primo dei post democristiani della seconda, ed oggi, dopo un lungo periodo passato tra processi, carcere e riabilitazioni, il neo democristiano della terza.

Con la sua Democrazia Cristiana Nuova, è riuscito a passare indenne le forche caudine dello sbarramento delle regionali, quando nessuno ci credeva. È riuscito nell’impresa che non è riuscita a Calenda, per esempio, e ha conteso il piazzamento con la lega di Salvini. Ed ha combattuto le regionali con le mani legate dietro la schiena, senza notabili e ras del voto, e soprattutto senza di lui. Con Cuffaro candidato in tre provincie la sua lista avrebbe forse battuto quelle più forti del centrodestra, diventando probabilmente il primo partito dell’isola.

Questo è il recondito messaggio della completa riabilitazione ai pubblici uffici di oggi. Probabilmente questa chiave di lettura a Cuffaro, l’entrare in campo direttamente, non conviene. Aizzerebbe folle di antipatizzanti seriali, che in lui vedono il totem del Male, protagonisti sfiancati di un’antimafia di poca lotta e molta carriera, ben diversa da quella di Borsellino e Falcone. Conviene a Cuffaro tutto ciò? Probabilmente no. Ma la convenienza, il calcolo, non è la cifra di Cuffaro.

Lui respira di politica, è come immaginare un uomo senza ossigeno. Certo poi nell’ossigeno, ci possono essere polveri sottili, alcune letali, ma puoi chiedere ad un uomo di smettere di respirare? Per lui la politica è patologia di vita, condizione imprescindibile di una natura, la sua, vocata ontologicamente a questo fin da ragazzo, che faceva proseliti da convitto salesiano nutrendosi di politica e pizzette. Perché la sua bulimia di cibo è seconda solo alla sua bulimia di politica. Cuffaro ci ha spiegato, in interviste e libri, che lui è un altro uomo, ha capito che il consenso fine a se stesso, non solo non serve a nulla, ma è pure dannoso. Ha perfino contestato il cuffarismo, che era più dei suoi fedeli, più realisti del re, che suo.

Cuffaro è estremamente intelligente ed ha capito l’evoluzione epocale che è avvenuta mentre lui scontava la sua pena, studiando come un Gramsci democristiano in carcere. Il mondo è totalmente cambiato, i partiti sono cambiati, gli errori sono davanti agli occhi di tutti, le risorse facili non ci sono più, ci sono molte lacrime e poco sangue nella terra di Totò. E per assurdo Cuffaro è più giovane di Schifani, di Lombardo, del tessitore Cardinale, del paternese La Russa, ma molto più esperto di Sicilia di loro. Ne conosce ogni angolo e contrada.

È stato il primo presidente eletto dai siciliani, che da ogni parte dell’isola  potevano permettersi di conoscerlo e di  incontrarlo almeno una volta. Gli altri sono stati presidenti più provinciali, più di collegio, che con una visione globale. Cuffaro nella parabola dei talenti non è il servo che lo ha sotterrato, lo ha investito e lo ha perso, oggi forse lo ha ritrovato. Quien sabe.

Così è se vi pare.

Giovanni Pizzo