PALERMO – In Sicilia nessun termovalorizzatore. Suona quasi come un avvertimento la lettera che il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha inviato al Presidente della Regione, Nello Musumeci, in vista dell’approvazione del nuovo Piano dei rifiuti che dovrà fare ordine a quella “gestione caotica e frammentata” (parafrasando l’ultima relazione annuale della Dia), finita più volte nel mirino della magistratura.
Nella missiva il ministro spiega che l’Isola dovrebbe “avviare un percorso di gestione dei rifiuti votato alla sostenibilità e allo sviluppo di soluzioni alternative alla tradizionale termovalorizzazione, meno impattanti in termini ambientali ed emissivi” (ma senza specificare quali sarebbero queste emissioni “impattanti”) e “limitare il ricorso alla discarica ai soli scarti non altrimenti valorizzabili”.
Proprio quest’ultimo punto non convince. Non si capisce perché la Sicilia per chiudere il cerchio debba puntare ancora sulle discariche, che consumano e inquinano il suolo, anziché su impianti di ultima generazione (chiamati strumentalmente “inceneritori”) come accade anche in diverse regioni italiane (perlopiù al Nord) e nel resto del mondo (da Parigi a Copenaghen, dove addirittura si scia sul tetto del termovalorizzatore).
Nonostante gli sforzi della Regione per fare aumentare le percentuali di raccolta differenziata – di cui questo giornale ha sempre dato buon merito al Governo Musumeci – siamo ancora decisamente lontani da quel 65% che l’Unione europea fissò come obiettivo da raggiungere addirittura otto anni fa (nel 2012!). Attualmente la media regionale si attesta intorno al 40%, solo un comune su tre è in regola con il target comunitario, mentre le grandi città (Palermo, Catania e Messina) continuano a viaggiare su percentuali ridicole.
Lo abbiamo scritto più volte e lo ripetiamo: anche qualora si arrivasse nel 2012 al 65% di raccolta in tutta l’Isola, da una parte resterebbe un 35% da smaltire in qualche modo e dall’altra la quota differenziata produrrebbe comunque scarti in seguito alla raffinazione negli impianti di selezione o compostaggio. Quest’ultimi, secondo gli esperti, pesano intorno al 15% dei rifiuti totali e sommandosi al 35% di cui sopra portano a una montagna (50%) di spazzatura ancora da gestire. Tra l’altro, come precisa Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente, la normativa europea non parla di raccolta differenziata, ma “di riciclaggio del 65%”. Il che vuole dire “considerando in modo cautelativo gli scarti della Rd, arrivare ad una percentuale di Rd di almeno l’80%, con residui che andranno considerati nei fabbisogni impiantistici”. Uno scenario che attualmente è pura fantascienza al di qua dello Stretto.
Ma la Sicilia non è una pattumiera a cielo aperto e non è più possibile continuare ad ampliare, all’infinito, le discariche, appestando con odori nauseabondi i cittadini che nei pressi di questi “mostri” abitano. Il ministro, nella missiva, si augura che l’amministrazione regionale si adegui “alle direttive europee” e sviluppi “un ciclo dei rifiuti sostenibile, concentrando gli sforzi sull’individuazione di forme di gestione più aderenti alla gerarchia dei rifiuti”. Di quale gerarchia parla? Probabilmente di quella prevista all’art. 4 della direttiva 2008/98/CE e che stabilisce un preciso ordine di priorità nella gestione dell’immondizia: prevenzione; preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo, per esempio di energia; e smaltimento.
Considerando che i nuovi obiettivi europei fissano il limite del 10% per il conferimento in discarica entro il 2035, non si capisce per quale motivo la nostra Regione non possa, o addirittura non debba, trasformare in energia parte dei suoi scarti. Come accade in Lombardia, che manda in discarica molto meno del 10% dei rifiuti e la parte che non ricicla la valorizza energeticamente.
O come succede a Bolzano, dove grazie al termovalorizzatore vengono trattate ogni anno 130 mila tonnellate di spazzatura, proveniente da 116 comuni, producendo energia termica per 3.500 abitazioni e 100 esercizi commerciali (e in previsione si potranno riscaldare altre 10.000 abitazioni ed edifici pubblici come ospedali). Le emissioni? Gli ultimi impianti, come dicono gli esperti, inquinano meno di un bus cittadino e non bisogna dimenticare i conseguenti minori impatti che determinano: “Più di un terzo delle caldaie condominiali di Bolzano potranno essere eliminate – si legge sul sito di Eco Center, società che gestisce il termovalorizzatore – portando ad una riduzione di oltre il 20% delle emissioni in atmosfera nella conca bolzanina”.
Perché alla Sicilia deve essere negata questa possibilità? D’altro canto, come dichiarato qualche giorno fa a questo giornale dall’assessore regionale all’Energia Alberto Pierobon, l’Amministrazione intende far scegliere le comunità locali: “Saranno i soggetti pubblici che pianificano la gestione nei vari territori – ha spiegato l’assessore – a decidere a chi affidare il rifiuto prodotto secondo le previste procedure di evidenza pubblica”.
E tra l’altro, ha precisato lo stesso Pierobon, “c’è una legge nazionale che ci obbliga a realizzarli, come ci aveva segnalato il ministero in fase di redazione del piano”. Di quale norma parla? Del celeberimmo “Sblocca Italia”, che non solo non ha sbloccato un bel niente, ma viene addirittura ignorato dai governanti. Basti pensare che la lettera con cui un ministro della Repubblica “raccomanda” a un presidente di Regione di non prevedere i termovalorizzatori nel Piano rifiuti è sostanzialmente di indirizzo contrario rispetto a una legge che a tutt’oggi non solo è in vigore, ma esiste anche un decreto di attuazione.
Cinque anni fa, dopo l’ennesima estate passata a fare i conti con l’emergenza spazzatura, l’esecutivo guidato allora da Matteo Renzi varò il decreto legge 133/2014, appunto il cosiddetto Sblocca Italia, provando a mettere ordine nel settore. Il provvedimento fu convertito nella legge 164/2014 e – dopo ben due anni – reso, almeno teoricamente, “operativo” dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016. Quest’ultimo prevedeva due impianti in Sicilia per valorizzare circa 700 mila tonnellate di rifiuti a fronte di una raccolta differenziata al 65%. Sono passati altri quattro anni, quindi in totale sei dal decreto legge, invano: la Sicilia avrebbe già potuto produrre energia dalla “munnizza” anziché continuare a stiparla sotto il tappeto. E invece siamo ancora all’ahimè.
Il ministro Costa dice di essere contrario agli impianti per ragioni “tecniche” e non ideologiche
La risposta “tecnica” di Chicco Testa: “Differenziata? Non è tutta riciclata”
PALERMO – Di tutt’altro avviso rispetto alla posizione ministeriale è Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente, che ieri, ha risposto in una lunga nota alle posizioni espresse dal ministro Costa sui social media. Un confronto, dati alla mano, privo di ideologia, così come richiesto da Costa. Per Testa il campo “tecnico” è quello giusto, spostando così l’attenzione sugli aspetti pratici e specialistici: in questo senso il ministro sottolinea che “l’autorizzazione per un impianto di questo genere dura dai 5 ai 7 anni”, peccato che le “tempistiche per le autorizzazioni sono legate principalmente ad aspetti burocratico-amministrativi”.
In questo senso – prosegue – l’esecutivo, negli ultimi mesi, ha sottolineato più volte che la “semplificazione, l’accelerazione delle procedure autorizzative e la modifica del codice degli appalti sarebbero state il primo punto dell’azione del Governo per fare ripartire l’Italia” e quindi “per quale ragione le procedure autorizzative devono durare 5/7 anni, visto che si tratta di impianti bene conosciuti e che in tutti i Paesi europei vengono autorizzati con tempi infinitamente più brevi?”. Del resto la “norma italiana non prevede tempi massimi di un anno?”. Ritardi diffusi a tutti i livelli, considerando che “questi biblici tempi di autorizzazione, con qualche ottima eccezione, non riguardano solo gli inceneritori, ma praticamente qualsiasi tipologia di trattamenti dei rifiuti compresi gli impianti per il recupero della materia”, come per esempio i biodigestori.
Un altro aspetto “tecnico” da prendere in considerazione riguarda i “tempi di ammortamento dell’impianto, che il Ministro stima in 20 anni”. Testa ribadisce che, avendo consultato alcune aziende che hanno presentato progetti per alcuni nuovi impianti dello stesso genere, è possibile confermare che i “loro piani finanziari prevedono un tempo di recupero attorno ai 12 anni con un Wacc (costo medio ponderato del capitale, serve per valutare gli investimenti, ndr) piuttosto alto”. Rimodulando il tutto, si potrebbe dire che i tempi di ammortamento previsti non superano i 10 anni e in “ogni caso l’investimento proposto sarebbe completamente a carico di imprese private le quali si assumono anche il rischio connesso”. L’ultimo punto da contestare è il riferimento ministeriale alla normativa europea: la direzione verso l’economia circolare “ci deve dare nei prossimi pochi anni una percentuale così alta di raccolta differenziata da non giustificare i tempi lunghi degli inceneritori”.
Testa contesta questo passaggio precisando che la “normativa europea prevede entro il 2035 (mancano 15 anni, non ‘pochi anni’) una percentuale giustamente non di raccolta differenziata (Rd), ma di riciclaggio del 65%” e quindi questo vuol dire “arrivare ad una percentuale di Rd di almeno l’80%, con residui che andranno considerati nei fabbisogni impiantistici” mentre ci si trova, come media nazionale, al 58,1% di RD, con la Sicilia che è addirittura circa venti punti percentuali in meno nonostante il grande recupero degli ultimi anni. A livello nazionale, invece, per il riciclaggio siamo ancora lontanissimi: 45,2% e non si “avalli ancora lo storytelling per cui fare raccolta differenziata significa automaticamente pensare che essa sarà tutta riciclata”.
La Direttiva, inoltre, prevede un “ricorso alle discariche non superiore al 10%”, dato che dimostra come a livello nazionale resti ancora una differenza del 25%. Ancora peggio a livello siciliano, considerando che i dati Ispra, aggiornati al 2017, registravano un conferimento ancora intorno al 70% del totale, anche se, secondo dati della Regione, tra il 2018 e il 2019, il quantitativo di rifiuti portati in discarica è stato ridotto di circa 280 mila tonnellate.
Il recupero energetico, peraltro previsto dalla normativa Ue, in Italia riguarda oggi appena il 18% del totale dei rifiuti urbani, con un deficit per raggiungere quel 25% di circa 2 milioni di tonnellate. Per Testa è chiaro che servono i nuovi termocombustori per chiudere il gap. “E infatti le Regioni del Nord lo hanno già chiuso – ha aggiunto Testa –, come la Lombardia che recupera, non solo raccoglie, il 60% dei rifiuti, ne manda in discarica molto meno del 10% e il resto viene indirizzato a recupero di energia, con un bel contributo all’economia circolare”.
La polemica
Botta e risposta tra M5s e Udc
PALERMO – Il dibattito sui rifiuti infiamma la Sicilia. Giampiero Trizzino, deputato all’Ars, del M5S, ha anticipato la lettera del ministro Costa al governatore Musumeci, ribadendo il “no alla termovalorizzazione, a vantaggio di soluzioni meno impattanti in termini ambientali ed emissivi e discariche da utilizzare solo per gli scarti non altrimenti valorizzabili”. Per l’esponente stellato “l’importante raccomandazione che arriva da Roma mette in riga Musumeci”, trattandosi di “un invito chiaro e inequivocabile a chiudere le porte ai termovalorizzatori”.
Di tutt’altro avviso il capogruppo Udc all’Ars, Eleonora Lo Curto, che parla di “gioco dell’oca dei Cinquestelle sui termovalorizzatori in Sicilia. Prima hanno chiesto alla Sicilia di farli, poi la retromarcia, ora una lettera per dire il contrario di quello che la legge prevede dimenticando che sono al governo a Roma e se vogliono possono cambiare la norma che li impone. In Sicilia, i deputati stiano tranquilli che il governo Musumeci ha le idee ben chiare e in tre anni è riuscito a raddoppiare la differenziata con la collaborazione di tutti i cittadini e le amministrazioni locali”.