Colui che viene nominato erede o è erede per legge, non è obbligato ad accettare l’eredità in quanto può rinunziare alla stessa. Quando ciò avviene egli non risponde dei debiti della persona deceduta (cosiddetto “de cuius“: “colui di cui si parla”). Questo principio – pur non essendo stato previsto e regolato da una specifica norma di legge – è stato affermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità, ovvero la Cassazione, la quale ha annullato, come esempio le richieste dell’ufficio delle entrate che pretendeva il pagamento di imposte, che appartenevano al contribuente deceduto, da parte degli eredi che avevano rinunciato all’eredità. Pertanto, il Fisco non può pretendere il pagamento di debiti da parte delle persone che rinunciano all’eredità per il semplice fatto che queste ultime non sono mai divenute eredi del defunto, originario debitore.
Anche la stessa amministrazione finanziaria è ormai convinta di questo principio tanto che nella risoluzione ministeriale del 5 novembre 1980 afferma esplicitamente, addirittura, che “va ritenuta illegittima la notificazione degli atti dell’accertamento di una determinata imposta, effettuata al chiamato all’eredità, che abbia rinunciato a quest’ultima, non essendosi verificata tra i due soggetti – “de cuius” e “chiamato all’eredità” – quella riunione, giuridicamente detta “confusione patrimoniale”, che fa sorgere a carico del secondo la legittimazione passiva per le obbligazioni che si riferiscono al primo.
In sostanza, perché l’erede possa rispondere al posto del de cuius occorre che vi sia l’accettazione, espressa o tacita, dell’eredità, costituendo ciò una imprescindibile condizione affinché possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità.
La rinuncia all’eredità (il termine è dieci anni) può essere effettuata anche tardivamente purché entro il termine di cui sopra.