Economia

“Ecco come l’Unione europea aiuta l’Italia da mesi”

CATANIA – La crisi dovuta all’emergenza sanitaria ha acceso un dibattito sulla presunta mancanza di validi aiuti da parte dell’Unione Europea. La querelle si concentra sulla validità degli strumenti ipoteticamente disponibili – come il Mes, i Coronabond, il Crii+ e il Sure – e sul tanto atteso Recovery Fund. Secondo gli economisti, il dibattito è causato dalla carenza di informazioni adeguate all’interno del nostro Paese in materia europea. Tutte le misure andrebbero contestualizzate in una prospettiva più ampia che vedrebbe l’Europa già a lavoro da tempo per aiutare l’Italia. E il Recovery Fund non sarebbe uno strumento molto diverso dai fondi strutturali normalmente utilizzati dalle regioni italiane.

Le ripercussioni economiche del Coronavirus non sono paragonabili ad alcuno scenario visto prima. Si tratta di una novità assoluta, di uno shock senza precedenti, come il congelamento di domanda e offerta e la prolungata assenza di scambi sui mercati. Proprio per la straordinarietà del fenomeno, le previsioni future non possono rivelarsi attendibili. È molto probabile che – quando i vari settori si riprenderanno – si troveranno in luoghi e condizioni completamente differenti rispetto al periodo precedente al Covid-19.

Gli economisti sembrano auspicare politiche economiche espansive tanto della domanda, quanto dell’offerta, perché solo sostenendo imprese e consumatori è possibile far ripartire l’economia.

Alla difficile previsione sul Pil e sulle entrate fiscali, però, si aggiunge la difficoltà di erogazione delle risorse da parte del Governo centrale. Il debito pubblico – secondo le stime dell’economista Pietro Massimo Busetta – potrebbe arrivare al 160%, la burocrazia non sembra effettivamente allentare la presa e alla crisi delle imprese si somma quella della liquidità. Per “attutire il colpo”, l’uso responsabile degli strumenti dell’Ue sembrerebbe di fondamentale importanza.

Il Mes, e come la Bce aiuta l’Italia

Il Mes, il fondo salva-Stati istituito nel 2012, ha visto l’Italia contribuire per il 17,91% (il nostro Paese è il terzo ad aver contribuito maggiormente). Ma sin dalla sua costituzione, non è stato stabilito alcun tetto massimo di debito e, per il possibile negoziato, c’è ampio margine di variazione di condizionalità.

“Qualsiasi negoziazione sul Mes deve essere poi confermata tramite modifica del Trattato europeo che l’ha istituito e che lo regola. Anche se si arrivasse a un accordo nel merito, ci saranno presidenti come la Merkel che dovranno affrontare una votazione di conferma nel Parlamento tedesco e un possibile ricorso alla Corte Costituzionale. Questo è il motivo principale di resistenza della Germania. Inoltre il Mes è uno strumento mal congegnato per far fronte a una situazione di instabilità asimmetrica dell’area Euro”, ha detto Ignazio Corrao, europarlamentare siciliano.

“Il Mes per l’Italia ammonta a circa 36 miliardi di euro. Una cifra insufficiente rispetto alle attuali esigenze, ma che va letta in una prospettiva più ampia, ovvero in un’estesa linea di credito per gli acquisti e le dotazioni sanitarie. A questa si aggiungono le politiche monetarie della Bce, le linee d’intervento Bei per le imprese e le politiche del lavoro garantite dal SURE – ha detto il professore Roberto Cellini, ordinario di economia politica dell’università di Catania -. Il Mes è un fondo che già esiste e che ha il pericolo di condizionalità molto gravose. Infatti, seppure al momento questi fondi non abbiano alcuna condizionalità, non è chiaro il termine entro il quale dovrebbero essere restituiti. Il tasso d’interesse è davvero molto basso (circa 0,1%), quindi il Partito Democratico, Forza Italia e Italia Viva vorrebbero ricorrere a questa misura a prescindere dalla data di restituzione del prestito. Agli euroscettici vorrei dire che se la BCE e l’Euro non esistessero, noi ci sogneremmo finanziamenti a tassi bassi come avvenuto negli ultimi vent’anni. Inoltre, la Bce acquista titoli dal mercato italiano a un prezzo molto più alto di quanto sia costretta a fare, proprio per la volontà di aiutare il nostro Paese. Ma comunica con poca efficacia le sue azioni positive; se i processi decisionali all’interno dell’Ue sono lenti, gli interventi della BCE sono sempre tempestivi. Per il Mes, è ancora in corso una trattativa riservata per definirne i dettagli operativi, al termine della quale si capiranno quali saranno le condizioni e – se i diversi Paesi non avranno riserve nell’adesione, scongiurando qualsiasi possibile effetto stigma che si otterrebbe qualora fossero in pochi a parteciparvi – l’Italia avrà forse più chiaro il vantaggio economico del Mes”.

Coronabond, validi solo a livello europeo

Coronabond è una parola spesso abusata di cui pochi conoscono il vero significato. Ha l’obiettivo di reperire risorse finanziarie con emissione di titoli europei. È una proposta sulla quale non si trova consenso, ma di fatto già gli interventi Bei con emissione di titoli europei si muovono nella stessa direzione”, ha continuato Cellini.

“Gli eurobond sarebbero stati uno strumento importante da affiancare agli altri, per riversare ingenti risorse sull’economia europea e italiana in particolare. Il tasso dovrebbe essere quello riconosciuto dal mercato finanziario e – come si sa – questo dipende dal rischio che rappresenta il titolo offerto dal mercato. Quindi, per avere un tasso basso bisogna necessariamente legare l’emissione dei titoli a una garanzia europea. Attualmente la valutazione di un titolo garantito Ue è tripla AAA, cioè a rischio quasi zero e tasso negativo se guardiamo i tassi dei bond tedeschi. I veri traditori della patria sono stati Lega e Forza Italia durante la votazione in sede europea. L’atteggiamento della Lega non stupisce in quanto ha come unico obiettivo quello di creare confusione e isolare sempre più l’Italia. Le parole di Tajani alla fine del voto contro gli eurobond (‘non sono realizzabili’) spiegano l’ombra di sottomissione di quel poco che resta di Forza Italia alla propria famiglia di appartenenza (i Popolari Europei), gestita dai falchi del nord Europa (Paesi Bassi, Germania, Austria). L’astensione di Italia Viva non fa che confermare l’intenzione di Renzi di dare una spallata al governo dall’alto del loro 1,9% malgrado la crisi, per poi creare il loro governo tecnico, formato dai lobbisti e amici banchieri. Tutto a danno dei cittadini italiani”, ha aggiunto l’europarlamentare pentastellato Corrao.

Recovery fund, il vero dramma: l’incapacità del Sud nella programmazione

E intanto la Commissione europea ha deciso di proporre 750 miliardi di euro per il Recovery Fund; all’Italia andrebbero 172,7 miliardi, di cui 81,8 a fondo perduto.
L’europarlamentare Ignazio Corrao ha commentato così il risultato raggiunto: “È un passo avanti in direzione comune, ma non una rivoluzione. Sarà la base di negoziazione tra governi che la pensano in modo (sempre meno) diverso, nel Consiglio europeo di venerdì 19 giugno. Il nuovo strumento proposto si chiama #NextGenerationUe e prevede una dotazione di 750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto (grants) e 250 di prestiti (loans). La proposta ricalca più o meno l’accordo franco-tedesco, a cui la Commissione aggiunge una quota di prestiti. Bisogna però ricordare che mentre la Von der Leyen ha seguito le indicazioni di Berlino e Parigi, il parlamento europeo aveva chiesto una dotazione di 2000 miliardi, mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiedeva una dotazione di 1500 miliardi e i cosiddetti ‘Paesi frugali’ desideravano 250 miliardi di soli prestiti. L’attuale proposta è una via di mezzo tra le varie posizioni e – se verrà approvata – all’Italia consentirebbe un bilancio pluriennale dell’Ue positivo per circa 40 miliardi, dopo anni e svariati miliardi di contribuzione netta. Ovviamente su queste cifre si dovrà comprendere tempistica – sia di entrata che di uscita – e condizionalità. La parola condizionalità non è di per sé una bestemmia, credo sia comprensibile che venga fatta una sorveglianza sulla spesa dei ‘grants’ – anche perchè il nostro Paese è maestro nel fare gonfiare costi di spese pubbliche e fare arricchire mafiosi e affaristi vari -. Va bene che ci siano condizionalità legate a interventi sul mondo del lavoro per garantire misure che forniscano liquidità alle PMI e quindi all’economia reale, alle aziende innovative e agli autonomi, così come va bene che ci sia sorveglianza su investimenti ‘green’, ‘smart’ e atti a migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione. Questi sono esempi di condizioni accettabili e in linea con la programmazione europea. Non sarebbero accettabili, invece, condizioni che andassero a smantellare scuola, sanità pubblica e sistema sociale”.

La proposta della Commissione dovrà essere varata dal Consiglio europeo per essere definitiva. Ma il fondo funzionerà esattamente come un comune fondo strutturale, eccetto un’unica differenza: non sarà richiesto il cofinanziamento statale. Dunque, il finanziamento verrà erogato sulla base dei progetti presentati, direttamente alle regioni dei diversi Paesi – ha chiosato il professore Cellini -. Ancora una volta verrà data priorità ai progetti di innovazione digitale e sostenibilità ambientale. A mio avviso non dovremmo desiderare dei finanziamenti senza alcun vincolo, ma finanziamenti che diano rendimento, secondo un piano di cui ancora non v’è traccia. La colpa non è dell’Europa, ma dell’Italia. Su noi italiani grava il problema dell’incapacità di programmazione, addebitabile tanto all’incompetenza degli enti locali, quanto all’eccessiva burocratizzazione”.

Qualora fosse lanciato un grande ‘Piano Marshall’ bisognerà pianificare la distribuzione delle risorse, tasto dolente per il nostro Sud. Dobbiamo prima intervenire sull’amministrazione dei fondi che riceviamo. La gestione dei fondi strutturali è il tallone d’Achille non solo per la nostra burocrazia, che rallenta l’accesso e l’informazione a riguardo, ma anche per la nostra classe dirigente che non sa amministrare certi fondi che molto spesso ‘rimanda indietro’, a causa della mancanza di competenza in materia – ha aggiunto Corrao -. Il Mezzogiorno, poi, dovrà lottare per avere lo stesso trattamento delle regioni del Nord, ripartendo dall’utilizzo delle risorse che arriveranno sul territorio con una nuova visione, per creare opportunità, dove ricerca e innovazione saranno basilari per ottenere sviluppo e pari opportunità, soprattutto al femminile”.

La difficoltà del Governo, le imprese si salveranno?

Se stampare nuovo denaro “non avrebbe alcuna utilità, se non quelle di svalutare la moneta esistente e di peggiorare la situazione nel medio termine” – come confermato dal professore Cellini – occorre trovare nuove strategie a sostegno di famiglie e imprese.

“La Cassa Integrazione e i sussidi alle imprese messi a disposizione dal Governo italiano sono sostegni importanti, ma non basteranno mai a compensare uno shock economico di proporzioni vastissime, determinatosi a seguito dell’emergenza da Covid-19. Due mesi di lockdown, secondo le stime Cerved, hanno causato alle imprese italiane perdite di fatturato non inferiori a 220 miliardi di euro, che potrebbero arrivare anche fino a 470 miliardi se si riproponesse – anche in forma minore – un altro periodo di chiusura nel corso dell’anno. Poi ci sono le crisi di liquidità, oscillanti tra 145 e 176 miliardi di euro. Per il numero di imprese fragili che potrebbero entrare in default a seguito di tale crisi finanziarie, i lavoratori a rischio peserebbero tra 3,2 e 5 milioni di euro. Se così fosse, sarebbe un duro colpo e nessuna Cassa Integrazione basterebbe”, ha chiosato il professore Rosario Faraci, ordinario di economia e gestione delle imprese dell’università di Catania.

Tuttavia il sistema “salva-imprese” potrebbe non garantire alcuna certezza: “Il Governo italiano ha scelto la strada di finanziare le imprese indirettamente, facendosi da garante nei prestiti bancari alle imprese, a partire da quelli di importo fino a 25mila euro, con garanzia integrale al 100%. Nell’ultimo Dpcm ‘Rilancio’ c’è qualche misura agevolativa di carattere tributario, come la cancellazione dell’IRAP (saldo 2019 e primo acconto del 2020). Grazie alle garanzie di SACE, per esempio, la Fiat ha fatto richiesta di un prestito di 6,3 miliardi di euro in tre anni. La Regione Siciliana ha varato una finanziaria da 1,5 miliardi di euro e – secondo Cerved – questo sarebbe il fabbisogno di liquidità per salvare le imprese più fragili. Ma anche qui, ribadisco, che non si tratta di risorse liquide immediatamente disponibili e molte potrebbero non farcela prima che arrivino gli aiuti”, ha continuato.

Sure e Crii+, aiuti alle imprese dall’Ue

Il Sure e il Crii+ potrebbero in qualche modo supportare le imprese italiane. “Sono strumenti di sostegno a salvaguardia del lavoro e atti alla facilitazione della flessibilità dell’occupazione – ha aggiunto Rosario Faraci -. Apportano ulteriore sostegno ad altre misure emergenziali, per evitare il tracollo del sistema produttivo del nostro vecchio Continente. Sono teoricamente utili, ma servirebbero anche più risorse per l’innovazione, le start up e la digitalizzazione dei processi aziendali saranno fondamentali in un momento come questo”.