ROMA – Mancano pochi giorni alle consultazioni per il rinnovo dei componenti del Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno e lo spettro dell’astensionismo si fa concreto, soprattutto in quei seggi dove non si vota anche per le elezioni amministrative.
Ci si chiede anzitutto se la tendenza delle ultime tornate elettorali si ripeterà anche questa volta: i dati delle elezioni del 2019 sono stati sconfortanti. In Italia è andato a votare meno del 50% degli aventi diritto, con una ampia forbice tra il Nord e il Sud: per esempio nel Nord Ovest andò a votare il 52,7%, mentre nelle Isole solo il 34,9%.
Il tema dell’astensione è ormai riconosciuto come il male peggiore della politica, perché dimostra una grave disaffezione da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni a tutti i livelli. Antonio Noto, direttore di Noto sondaggi, ha affermato che per la prima volta potranno essere più gli italiani a non votare di quelli a farlo: “È indubbio – ha spiegato – che le probabilità di andare sotto al 50% siano molte”.
Roberto D’Alimonte, politologo esperto di sistemi elettorali, sembra condividere la valutazione: “Non ho la sfera di cristallo – ha detto – ma i timori di questi giorni mi sembrano fondati. Si rischia di scendere sotto il 54 per cento dell’ultima volta”.
Anche dall’ultimo rapporto Censis, pubblicato a inizio maggio, emerge un generale pessimismo degli elettori. Nel documento “Lo stato dell’Unione-Geografia sociale dell’Europa al voto” vengono riportati gli indicatori economici e sociali dei ventisette Paesi Ue. I segnali non sono buoni: quasi un terzo degli elettori percepisce un senso di declassamento sociale, con disparità crescenti all’interno dei territori, percezione che si trasforma in aumento dell’astensionismo, il cui tasso alle ultime elezioni Europee del 2019 si è attestato al 49,3 per cento di media nell’Unione europea, con un picco raggiunto in Slovacchia (75,3%) e un valore minimo toccato in Belgio (11,5%). In questo contesto l’Italia si colloca poco sotto la media europea (45,5%).
Il fenomeno nel nostro Paese assume una tendenza particolare, visto che l’astensionismo è più evidente a seconda della votazione: tra il 1979 e il 2019 la percentuale di elettori votanti è scesa di quasi il 35%, un calo che non si nota a esempio nelle politiche, che nel 2022 hanno comunque registrato un 36,1% di astenuti. Secondo il rapporto, in Europa mediamente solo il 50% ha fiducia nelle istituzioni. Il dato relativo all’Italia è in linea con la media continentale: il 49% degli italiani ha fiducia nel Parlamento di Bruxelles e il 46% nella Commissione europea. Bassa percentuale in Slovenia, dove solo il 37% dei cittadini si fida del Parlamento europeo, e in Grecia, dove il dato si ferma al 33%.
Ci sarebbe inoltre un rapporto diretto tra reddito e affluenza alle urne, soprattutto nelle grandi città. Sotto un profilo sociologico la motivazione potrebbe derivare da una dissonanza tra le proposte politiche e le esigenze dell’elettore. Il cittadino che ha bisogni primari da soddisfare, come il lavoro, l’affitto o il mutuo, le tasse, non è interessato ad ascoltare dibattiti e proposte su tematiche di più ampio respiro. Questo criterio vale ancora di più quando si tratta di rinnovo del Parlamento europeo, un’entità percepita come troppo lontana e non in grado di incidere sulla quotidianità delle persone. Le grandi città nel loro complesso fecero registrare nel 2019 una percentuale di circa due punti inferiore alla media nazionale, anche per la maggiore presenza di residenti all’estero iscritti nelle liste anagrafiche.
Ultimo elemento da considerare: il fattore astensionismo potrebbe risultare determinante, in negativo o in positivo, soprattutto per quei partiti che ballano intorno alla soglia di sbarramento del 4%. Un’inchiesta condotta dal magazine portoghese Divergente, assieme al trentino Osservatorio sui Balcani e Caucaso-Transeuropa e al Sole 24 Ore rivela che i Paesi o le regioni con più astensionismo sono quelle con più anziani, con tasso di analfabetismo più alto e soprattutto con redditi più bassi. Le ragioni del non-voto, però, sarebbero più legate a una generale disillusione nei confronti della politica, piuttosto che all’Europa in senso stretto. È emerso che le persone che vivono nelle aree rurali considerano troppo complessa la burocrazia europea per accedere ai fondi e quindi non sono interessati al voto. Inoltre, le campagne elettorali europee penetrano poco in quelle aree isolate, e così anche i media. E ancora: molti cittadini avrebbero qualcosa da esprimere, ma sono convinti che sarebbero ignorati.
In questo quadro a tinte così fosche vi sono fortunatamente anche ragioni per essere ottimisti. In realtà il tasso di partecipazione alle votazioni europee negli anni è andato crescendo. Nel 2014 ha votato il 42% dei votanti, nel 2019 il 51%. Nelle prossime elezioni alcuni sondaggi fanno intravvedere una partecipazione che potrebbe avvicinarsi al 60%. E potrebbe essere proprio la quota dei giovani a determinare una significativa crescita in percentuale.
ROMA – Nel 2019 la partecipazione al voto è cresciuta soprattutto nell’elettorato giovane (che in passato invece era tendenzialmente astensionista). Fenomeni come la Brexit, il Covid, la guerra in Ucraina e cambiamento climatico hanno fatto sì che i media parlassero di più di Europa. Ma nelle nuove generazioni la fiducia nei media tradizionali, che sono quelli che si interfacciano di più con le istituzioni europee, è in calo. I giovani si fidano di più dei canali social.
La Commissione europea ha tenuto sotto controllo questi fenomeni e ha pubblicato un Eurobarometro sui giovani e la democrazia in vista delle prossime elezioni europee, pubblicato sul sito ufficiale del Dipartimento Affari europei (presidenza del Consiglio dei Ministri). Dall’indagine emerge che il 64% dei giovani dichiara di voler votare e il 38% ritiene il voto come l’azione più efficace per far sentire la propria voce. Solo il 19 per cento ha dichiarato di non essere interessato alla politica e il 13 per cento di non essere interessato a votare.
La Romania è il Paese dove i giovani hanno manifestato più ampio entusiasmo verso il voto di giugno (78%), appena sopra il Portogallo (77) e, a seguire, Belgio e Polonia (69), Spagna (68), Italia (67).
L’indagine mette in evidenza anche come molti giovani siano attivi e impegnati. Il 64% ha partecipato alle attività di una o più organizzazioni negli ultimi dodici mesi e il 48% ha intrapreso azioni per cambiare la società firmando una petizione, partecipando a un raduno o inviando una lettera a un politico.
I temi su cui i giovani risultano più attivi sono i diritti umani (34%), i cambiamenti climatici e l’ambiente (33%), la salute e il benessere (29%) e la parità di diritti indipendentemente dal genere, dalla razza o dalla sessualità (29%).
La prospettiva europea resta centrale per i giovani: oltre il 43% ha partecipato a un’attività in un altro Paese dell’Ue e quasi la metà degli intervistati (49%) è a conoscenza di opportunità come Erasmus+, il programma dell’Ue per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport. Inoltre, il 67% dei giovani ritiene che l’Ue abbia un impatto, almeno in una certa misura, sulla propria vita quotidiana.
L’indagine Eurobarometro Flash 545 “Gioventù e democrazia” è stata condotta tra il 3 aprile e il 12 aprile 2024 e si è rivolta a un campione rappresentativo di 26,189 giovani di età compresa tra i 15 e i 30 anni nei 27 Stati membri. Nel 2024 quasi due milioni di adolescenti europei tra i 16 e i 17 anni si preparano a esercitare per la prima volta il diritto di voto.
“Per il Parlamento il voto dei giovani – ha osservato Jaume Duch, portavoce dell’Europarlamento – è una priorità per molte ragioni: la prima è che queste sono probabilmente le elezioni che plasmeranno il futuro delle nuove generazioni. Ciò che accadrà a livello europeo avrà probabilmente un impatto maggiore e più duraturo sui giovani delle decisioni nazionali prese nel breve periodo”.