Catania

Elezioni, il secondo tempo di Maurizio Caserta: “Nostro modello alternativo a quello dei Caf”

Un approccio più “consapevole” e una squadra a sostegno più ampia. Maurizio Caserta, docente di economia all’Università di Catania, ci riprova. Stavolta, però, a differenza del 2013, alla guida di una coalizione: il fronte progressista. Presentato ufficialmente alla città lunedì pomeriggio, Caserta è consapevole che stavolta la partita è diversa rispetto a dieci anni fa: da un lato la città, in condizioni difficili e non solo economiche per via del dissesto finanziario, dall’altro le forze politiche, con un centrodestra forte e a capo di tutti i livelli di governo. Più difficile ma non per questo impossibile, anzi. Il progetto portato avanti dal fronte progressista, che vede insieme Pd, M5S, Sinistra Italiana e Verdi, oltre che al forum civico Catania può, secondo Caserta, ha la possibilità di vincerla questa partita.

Professore, dieci anni dopo di nuovo candidato sindaco. Come si sente?

“Sento qualcosa dentro. Certo, la situazione è diversa dal 2013; oggi c’è maggiore consapevolezza che stavolta si può fare. Il clima è differente: c’è il fronte progressista a sostenermi. Un progetto che abbiamo concepito tempo fa con persone che hanno avviato, con il forum Catania può, un dibattito. L’intento era esattamente questo: spingere i partiti di questo fronte che noi credevamo sufficientemente omogeneo, a fare una proposta comune per la città. Questo era l’obiettivo e così abbiamo lavorato ai tavoli che sono serviti a familiarizzare. Tutto ciò è avvenuto e il risultato mi sembra buono”.

Non crede che anime così diverse possano rappresentare un limite?

“È chiaro che ci sono sensibilità diverse e che bisogna trovare una sintesi. Ma credo sia questa la sfida, perché la nostra è innanzitutto una sfida culturale prima che politica. Ed è la cosa che mi entusiasma di più. Il dialogo resta la misura di questa avventura, non c’è dubbio. Così come il rispetto, l’individuazione di un percorso comune e la consapevolezza che c’è un’area culturale alla quale tutti proviamo ad appartenere e che è fatta di principi e di valori. Poi ovviamente ci possiamo sbagliare e scoprire che non è per niente così. Però credo che l’intento di ciascuno sia scrivere qui a Catania una pagina importante di quello che potrebbe succedere nel Paese nei prossimi mesi o anni”.

Quali sono i punti fondamentali del programma che avete già pubblicato?

“È stato scritto, presentato ed è abbastanza articolato. Abbiamo usato una tecnica: quella di dividere i capitoli per diritti e quindi c’è il diritto alla mobilità, alla vivibilità, all’ambiente, alla cittadinanza, alla scuola, alla casa, alla pulizia, al lavoro, alla cultura e alla sicurezza. È stato declinato in questo modo perché è questo lo spessore culturale del progetto: uno spazio in cui ciascuno possa esprimersi con libertà. Questa è la sfida politica”.

La città di Catania sembra da tempo assuefatta all’assenza dei diritti. Quanto sarà difficile parlare con la gente e a quale città vi rivolgete?

“Questa è la scommessa: l’offerta politica deve trovare parole, storie e modelli da offrire per rappresentare a chi ascolta e convincerlo. Noi offriamo un servizio di gestione di spazi e vita comune: dipende dalle nostre abilità, dal nostro talento e dal nostro senso di responsabilità convincere. Non sarà facile, ma il mondo è diventato abbastanza complicato e la soluzione non è ritirarsi in casa propria ma lasciare la porta aperta. Bisogna andare incontro alle difficoltà e questo è lo spirito con cui io mi rapporto a questa iniziativa”.

L’idea prende il posto dei Caf in questa visione

“Eh sì, altrimenti, se offrissimo lo stesso modello del passato in cui altri sono sicuramente più bravi di noi soccomberemmo. Quando si offre un prodotto nuovo: non si deve copiare gli altri perché chi è venuto l’ha fatto prima e forse meglio. Bisogna avere la capacità di inventare qualcosa di innovativo, di presentarlo nel modo più appropriato e mostrare che è più utile dell’altro, che è migliore dell’altro. Il metodo sarà sempre il dialogo, l’incontro. Non conosciamo altri mezzi. E poi c’è anche la forza individuale di ciascuno di noi, nessuno vuole mettersi dietro a una cattedra e pontificare. Qui si tratta di usare le idee che tutti abbiamo e offrirle a chi ci ascolta come la condizione per poter immaginare strumenti efficaci e utili”.

Quante liste la supporteranno?

“Ci saranno sicuramente le liste dei partiti più grandi, cioè Pd e Movimento 5 stelle. Sinistra italiana ed Europa verde andranno alleati, ma comunque c’è la volontà di allargare il campo. Sarebbe stupido non farlo: ci sono le condizioni per individuare mondi che si ritrovano su alcuni punti fondamentali con noi”.

Teme qualcuno dei candidati già scesi in campo?

“No, onestamente no”.

E invece ritiene che le fratture interne al Pd potrebbero togliere voti e forza al progetto?

“Il progetto è innovativo e la possibilità che si lasci fuori qualcuno c’è perché qualcuno si mette fuori da solo. Ma è fisiologico quando c’è un’innovazione politica: più che un rischio, è un fatto”.

Cosa cambierebbe e cosa salverebbe di Catania?

“L’approccio ostile verso le regole è un male antico, forse non solo di questa città, e certamente su questo punto occorre lavorare molto. Salverei, invece, la capacità di reagire dei catanesi. Ma la visione deve essere quella di crescere e non di restare fermi. La città è condannata al nanismo se l’obiettivo è solo evitare i danni di una cattiva gestione. Dedichiamo troppe energie a capire come sopravvivere, quando invece dovremmo cercare di incanalarle per la crescita della collettività”.