Le donne che desiderano lavorare devono ancora scegliere tra lavoro e maternità? Stando alle parole di Elisabetta Franchi sembrerebbe di sì. Ma, secondo Flora Mondello – delegata al settore agroalimentare di Sicindustria e vice delegata regionale dell’associazione nazionale “Le Donne del Vino” -, le difficoltà delle donne in ambito professionale non derivano dal datore di lavoro.
“Quando metti una donna in una carica importante, se è molto importante, poi non ti puoi permettere di non vedere quella donna per due anni perché quella posizione è scoperta. E un imprenditore investe tempo, energia e denaro. E se ti viene a mancare è un problema. Anche io da imprenditore spesso ho puntato su uomini (…).
Io oggi le donne le ho messe, ma sono ‘anta’. Ancora ragazze, ma ragazze cresciute. Se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno già fatti e se dovevano separarsi hanno fatto anche quello. Io le prendo che hanno fatto tutti i quattro i giri di boa; sono quindi lì belle tranquille con me, al mio fianco e lavorano h24…questo è importante! Cosa che gli uomini non hanno”.
Così ha esordito Elisabetta Franchi, una delle maggiori stiliste e imprenditrici italiane contemporanee, durante un evento organizzato da PWC e Il Foglio sul lavoro e le opportunità femminili.
“Noi donne per fortuna abbiamo un dovere, che è quello del nostro DNA. I figli li facciamo noi e il camino in casa lo accendiamo noi”, ha precisato.
Le sue parole hanno destato scalpore. E c’è già chi, tra le sue dipendenti, si è fatto avanti per raccontare quanto sia difficile lavorare per lei.
Una donna ha addirittura raccontato al quotidiano La Repubblica la necessità di rivolgersi al sindacato e il presunto clima irrespirabile all’interno dell’azienda, tra continui straordinari e negazione del diritto alla maternità.
Ma quanti imprenditori la pensano effettivamente così, scontrandosi tutti i giorni con le difficoltà che la maternità dei dipendenti comporta?
“Le parole di Elisabetta Franchi sono state fraintese e strumentalizzate – spiega Flora Mondello -. Più che focalizzarci sulle parole di una donna la cui storia personale e imprenditoriale parla da sé, dovremmo cominciare a riflettere sul serio sugli strumenti che mancano a donne e imprese per garantire le tanto agognate pari opportunità“.
I figli, per dirla alla Franchi, “per DNA” sono concepiti da donne e uomini insieme. Per legge entrambi i genitori hanno gli stessi obblighi nei loro confronti (mantenimento, cura, assistenza e tanto altro). Ma nella società, di fatto, non hanno le stesse opportunità di poterli assolvere.
“Le statistiche ci dimostrano che le donne vivono sensi di colpa perché continuamente obbligate a fare soltanto ciò che la società vuole per loro – continua Mondello -. Le faccende domestiche, l’attività di cura dei familiari anziani e dei figli che spetterebbero anche al resto della famiglia, vengono addebitate esclusivamente al gentil sesso che, così, non riesce a realizzare altre aspirazioni. A meno che non voglia aggiungere ulteriori fatiche senza mai fermarsi nell’arco delle 24 ore”.
Questi stessi doveri quotidiani pesano poi sulle imprese che, alle difficoltà legate all’assenza delle dipendenti nel periodo della maternità, vedono le loro donne sempre più stanche ed esauste.
Il diritto alla maternità, garantito per legge in Italia, consiste nella possibilità di assentarsi da lavoro per circa 5 mesi tra il pre e il post parto. E qualche ora per allattare il proprio bambino o per assisterlo in caso di malattia.
Ma non offre la possibilità di garantire, a basso costo o a costo zero, che qualcuno se ne prenda cura durante le ore di assenza dei genitori per motivi di lavoro. Con chi dovrebbe rimanere un neonato di 3-5 mesi?
Gli asili nido pubblici, continuamente chiusi in occasione di vacanze e festività sono pochi e non riescono a soddisfare le richieste. Quelli privati, invece, costano tanto da scoraggiare le donne (e non gli uomini!) a proseguire la propria professione. Lo stesso vale per le baby-sitter.
Esistono poi categorie per le quali la maternità non è nemmeno prevista: “Chi lavora con partita Iva, chi svolge dunque la libera professione o è titolare d’impresa, non ha diritto alla maternità – aggiunge Flora Mondello -. Le neomamme che non sono lavoratrici dipendenti rischiano di finire sul lastrico”.
In quei contesti persino l’utenza dimentica di avere a che fare con le donne: “Io sono anche un architetto – racconta -. E spesso nei cantieri mi chiedono se io faccia l’arredatrice, dandomi del ‘tu’ al contrario di quanto fanno, per esempio, con il mio geometra. Quando rispondo che non arredo ma costruisco palazzi, rimangono quasi interdetti”.
“Nonostante le enormi difficoltà, sempre più spesso le donne, facendo il triplo della fatica rispetto agli uomini, raggiungono posizioni lavorative di grande rilievo. Ma la situazione continua a non sbloccarsi e il sistema di welfare non cambia.
C’è ancora tanta strada da fare. Le donne dovrebbero cominciare a scioperare per chiedere asili nido gratuiti, bonus baby-sitter e asilo nido maggiormente accessibili e l’azzeramento della burocrazia per tutte le misure dovute alle mamme. Perché alla violenza di genere fisica e psicologica si aggiunge quella istituzionale legalizzata. E questo non è accettabile”, conclude la delegata all’agroalimentare di Sicindustria.